giovedì 11 aprile 2013

Sentenze discutibili al Tribunale dell’Aja (Florence Hartmann)



Di recente il Tribunale per la ex Jugoslavia ha assolto in appello importanti leader militari serbi, croati e kosovari. Mettendo così in discussione il lavoro svolto negli ultimi vent’anni.


Vent’anni dopo la nascita del Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia (Tpi), la giustizia
internazionale soffre di un’evidente mancanza di credibilità. 
Un problema legato anche alle ultime sentenze dello stesso Tpi. Nel 1993, mezzo secolo dopo Norimberga, era intollerabile che i crimini contro l’umanità commessi nel cuore dell’Europa rimanessero impuniti. 
Così, in piena guerra dei Balcani, il Consiglio di sicurezza dell’Onu diede vita a un organismo
 incaricato di perseguire i responsabili di quelle atrocità. 
Il sogno di un tribunale penale permanente si concretizzò nel 1998 con la nascita della Corte penale internazionale (Cpi). 
L’impunità sembrava appartenere al passato. Dopo le inchieste sugli esecutori materiali, il Tpi passò presto a occuparsi di chi, lontano dai luoghi delle stragi, aveva elaborato e diretto le politiche criminali poi realizzate da altri. L’apertura nel febbraio 2002 del processo contro l’ex presidente serbo Slobodan Milošević per il  suo ruolo nei crimini commessi in Croazia, Bosniae Kosovo segnò una svolta storica.
Da qualche tempo, però, il Tpi sembra non rispettare la sua missione di perseguire anche i più alti dirigenti politici e militari. 
Il 16 novembre 2012 sono stati assolti in appello Ante Gotovina e Mladen Markač, i generali croati giudicati nel 2011 responsabili di crimini di guerra commessi nell’agosto del 1995 sui serbi di Krajina. 
Il 28 febbraio 2013 è stato assolto, sempre in appello, Momčilo Perišić, l’ex capo di stato maggiore
serbo, condannato nel 2011 per aver “aiutato” le forze serbobosniache. Nel novembre del 2012 anche Ramush Haradinaj – capo militare kosovaro e sospettato di crimini contro serbi, kosovari e rom – è stato assolto per mancanza di prove.
Tutte queste decisioni sono state bollate come “politiche” dalle associazioni delle vittime. “Avevamo fiducia nel Tpi, credevamo nella giustizia. Ma qui non c’è giustizia”, hanno detto i sopravvissuti di Srebrenica dopo l’assoluzione di Perišić. Per i serbi, invece, il rilascio di Gotovina e di Haradinaj dimostra che il Tpi puniscem solo i serbi. Questa volta, però, alle critiche si sono uniti anche i sostenitori della giustizia internazionale.
Il Tpi, che avrebbe dovuto contribuire alla riconciliazione nei Balcani, con le ultime sentenze ha complicato la situazione.
Le assoluzioni non solo scagionano i più alti dirigenti politici e militari, ma discolpano anche i regimi, e quindi i paesi, che hanno concepito e permesso la pulizia etnica nei Balcani. In questo modo finiscono per rafforzare,
in ogni schieramento, il negazionismo nei confronti dei propri crimini.
Un nuovo orientamento Certo, un tribunale deve saper assolvere. Ma quando, dopo una sentenza di assoluzione, una parte dei giudici d’appello denuncia a denti stretti una politicizzazione della giustizia internazionale, allora è il senso stesso del tribunale a essere messo in discussione.
Nel caso di Gotovina è stato il giudice italiano Fausto Pocar a parlare di un’assoluzione che “contraddice ogni senso di giustizia”. Nel caso di Perišić, invece, le critiche sono arrivate dal cinese Liu Daqun.
Questo orientamento giurisprudenziale rischia di avere implicazioni che vanno oltre la ex Jugoslavia. Le ultime sentenze della corte d’appello dell’Aja propongono una lettura molto restrittiva del diritto, che tende a
proteggere i leader politici e militari. Assolvendo i dirigenti serbi o croati il Tpi si è dato nuove regole che non dovrebbero dispiacere alle grandi potenze, sempre più impegnate in guerre per procura. Per essere considerati penalmente responsabili non basta più fornire personale militare, armi e aiuti a chi commette crimini contro l’umanità. Bisogna anche esercitare un’autorità diretta sulle forze criminali o indicare esplicitamente che l’aiuto dato è destinato a compiere quei crimini. 
Questo è quanto si ricava dalla sentenza Perišić. Dall’assoluzione di Gotovina si intuisce invece che bombardare zone abitate non può essere considerato un
crimine anche quando i proiettili mancano volutamente gli obiettivi militari, gli unici autorizzati. Il diritto internazionale e la giustizia escono indeboliti dalle ultime sentenze del Tpi. C’è da augurarsi che questo tribunale, a lungo simbolo di progresso, non abbia ristabilito la stessa impunità che doveva combattere e suggerito delle scappatoie ai futuri criminali di guerra.



(Florence Hartmann è una giornalista francese. È stata inviata di guerra di Le Monde in Croazia e Bosnia e poi portavoce del procuratore capo del Tribunale dell’Aja)


Fonte: Internazionale N°994, 05/11 aprile 2013


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