sabato 13 aprile 2013

Negli alveari di Pechino (Ma Jinyu, Nanfang Xinwen Wang, Cina)




Sedici camere al primo piano, tredici al secondo e nove all’ultimo: in questo appartamento
di cento metri quadri complessivi in una delle zone residenziali benestanti sul terzo anello ovest di Pechino vivono in affitto programmatori della Apple, studenti, dipendenti di saloni di bellezza e di club esclusivi o impiegati del settore immobiliare.
Da quando i prezzi delle case a Pechino hanno raggiunto i livelli di New York e Sydney, chi abitava in stanze di poco più di dieci metri quadri si è trasferito in appartamenti stracolmi, divisi in loculi che non arrivano ai tre metri quadri. 
A Pechino questo tipo di alloggi è abbastanza diffuso e chi ci abita li usa solo per dormire.
Appena il primo sole fa capolino nella nebbia, nell’appartamento comincia un concerto di suonerie di sveglie, passi disordinati, acqua che scroscia e porte che sbattono.
Dapeng, raggomitolato nel piumone, non riesce più a dormire. 
Gli inquilini escono dallo stabile con abiti perfettamente stirati, scarpe lucide, cappotti eleganti e calze di seta, e si avventurano tra i banchetti che vendono le jianbing calde (frittelle di farina e uova), le uova bollite nel tè e i panini di carne d’asino macinata. La camicia di Versace e i pantaloni di Calvin Klein che indossa Dapeng non spiccano tra la folla di uomini e donne vestiti alla moda.
L’unico momento di gioia nella giornata di Dapeng è quando esce la mattina presto.
I giardini sono belli e quando c’è il sole spesso le giovani mamme portano i loro bambini a giocare sotto i padiglioni di legno. Tra la ine di ottobre e l’inizio di novembre le foglie dorate del ginko splendono, e l’arrivo dell’inverno a Pechino crea panorami che danno un senso di serenità.

È la sera, quando torna nella sua stanza, che si abbatte: “Solo allora mi rendo conto di quanto sono povero: dal paradiso entro dritto all’inferno”.
Topi e formiche Questo è in assoluto lo spazio più piccolo dove Dapeng ha vissuto. Non raggiunge i due metri né in lunghezza né in larghezza, e la superficie non supera i tre metri quadri.
Una volta dentro, lui che è alto un metro e ottanta, può solo sedersi sul letto. Accanto al letto, il tavolino del computer è appoggiato a un armadietto, e quando si volta deve stare attento a non urtare la parete del vicino. Sbirciando da una finestrella, riesce a vedere una porzione dell’insegna di un hotel a cinque stelle che brilla tutta la notte.
Se non si fosse indebitato con la carta di credito, forse Dapeng potrebbe vivere meglio.
Prima di stabilirsi qui, ha visitato anche stanze da meno di mille yuan al mese (circa 125 euro) illuminate solo dalla luce fioca delle lampadine. Almeno la stanza dove vive ora ha una inestrella, e nei giorni di sole entra un po’ di luce naturale. La sera, anche se è costretto a fare la fila, può comunque farsi una doccia con l’acqua calda e ha a disposizione una lavatrice per il
bucato. La maggior parte delle stanze non ha finestre, solo aperture che danno sul corridoio interno. Per la sua stanza con finestra sull’esterno, Dapeng paga 150 yuan in più rispetto agli altri.
In precedenza ha vissuto nel suo ufficio, un appartamento di circa settanta metri quadri diviso in cinque camere. Ci stavano in sette, ma Dapeng occupava la stanza principale e pagava 1.600 yuan. Poi l’affitto è aumentato e Dapeng se n’è dovuto andare.
Dato che nell’estate del 2012, quando Pechino è stata colpita da una violenta alluvione, diverse persone sono morte annegate negli scantinati, ha scartato l’ipotesi di vivere in una cantina. Dieci anni fa con la cifra di oggi avrebbe potuto prendere in affitto una camera di venti metri quadri; per meno avrebbe potuto trovare uno scantinato (all’epoca si diceva che a Pechino quasi un milione di persone abitavano negli scantinati; erano chiamati la “tribù dei
topi”).
Con l’inizio dell’inverno le temperature si sono abbassate. Una sera, rientrando, ha notato che sotto il ponte del parco vicino a casa era stata sistemata una branda. Dalle coperte spuntavano un uomo e una donna, autisti di motorisciò, che tenevano tra le braccia un bambino di circa due anni. Per ripararlo dal vento gli avevano coperto la testa con della carta. Poi i due hanno tirato fuori secchi e stracci e hanno cominciato a lavare i taxi parcheggiati per  sette yuan (poco meno di un euro). Dapeng gli ha chiesto se il bambino non sentisse freddo.
Ma loro, sorridendo, gli hanno risposto che era ben coperto e che la mattina dopo l’avrebbero riportato a casa. Rientrato nel suo loculo, si era consolato pensando che lui, almeno, aveva un posto dove dormire.
Con l’arrivo del caldo Zhuo Ya, impiegata in una piccola azienda, ha affittato una singola vicino al bagno. Con sé aveva due libri:
Sei modi di avere successo e Lezioni di vita. Zhuo Ya ha fatto parte della “tribù dei topi”, ma nel 2008 le autorità hanno ordinato la chiusura degli scantinati in affitto,
costringendo circa duecentomila persone a cercare un’altra sistemazione. 
Zhuo Ya ricorda che proprio in seguito all’ondata di sfratti i prezzi delle case in supericie sono
saliti alle stelle. Ovunque spuntavano annunci di stanze minuscole e case da condividere
in affitto. Zhuo Ya ha preso una stanza di dieci metri quadri e i suoi vicini erano cuochi, commessi, camerieri, personal trainer, attori, stagisti. Dalla “tribù dei topi” era passata alla “tribù delle formiche”.
Ma nel 2010, anche nel quartiere di Tangjia ling, abitato dalla “tribù delle formiche”,
sono cominciati gli sfratti. Le demolizioni facevano parte del progetto di
riqualificazione di zone chiave delle periferie, in particolare di cinquanta aree in cui la situazione era critica dal punto di vista dell’igiene ambientale e dell’ordine pubblico.
Le demolizioni sono state molto rapide: nel giro di un mese al posto delle case c’erano solo rovine o ediici con impresso il carattere chai, “da demolire”. L’affitto pagato da Zhuo Ya era già salito da 800 a 850 yuan, fino ad arrivare a 1.500 yuan.
Nell’estate del 2012 ha trovato un annuncio su internet per una cameretta da 800 yuan.
Anche se è grande solo tre metri quadri ed è attaccata al bagno e alle docce, quindi sempre umida e maleodorante, è pur sempre economica. Insistendo alla ine è riuscita a ottenerla per 650 yuan. 
Nelle serate estive il proprietario dell’appartamento accende il condizionatore solo dalle otto alle dieci di sera. Per Dapeng non è un grande problema, sta a torso nudo e si inila un paio di pantaloncini corti. Ma una ragazza deve dormire in pigiama o è costretta a stare con la porta chiusa. Per un po’ di frescura, alcune vanno a passeggiare nel parco vicino, rientrando solo per dormire. Al secondo piano gli inquilini stanno stretti. 
In tutto ci sono tredici camere e Zhuo Ya occupa quella più all’interno.
Ogni mese deve pagare cinquanta yuan per l’aria condizionata e dieci yuan per le pulizie. Al secondo piano il bagno di servizio e quello con le docce sono senza porta, il water perde, si scivola e il vapore ha inzuppato le pareti. Il letto di Zhuo Ya è sempre bagnato perché una delle due pareti a cui è appoggiato conina con il bagno. Alle tredici camere del secondo piano si aggiungono gli inquilini delle nove stanze dell’attico, e i servizi igienici spesso sono
insufficienti.
Nel passaggio dal secondo piano alla veranda c’è spazio solo per una persona. Dall’alto pendono mucchi di panni stesi e per passare si deve strisciare lungo la parete. Dal momento che qui nessuno si conosce e non c’è una persona che si occupi di ordinare il bucato, questo piccolo corridoio grande un metro per due è diventato un territorio prezioso per proteggere i panni dalla pioggia. 
Appena arrivata Zhuo Ya aveva messo nella veranda un tavolino e qualche seggiola per fare due chiacchiere con qualcuno, magari sorseggiando un tè. Ma finora nessuno le ha mai rivolto la parola.

Quando rientra in camera spegne la luce e si sdraia senza dire una parola, ascoltando in silenzio ogni vicino lavarsi viso e denti, usare il gabinetto, tirare lo scarico, farsi la doccia e soiarsi il naso. Tutto questo finché dal bagno non si sente più nessuna
voce e dalle camere di fronte arriva il rumore dei vicini che russano. “A quel punto”, racconta, “lentamente mi addormento”.

Zhuo Ya tiene sapone e dentifricio nel bagno comune, poi ha un armadietto che ha messo davanti alla porta del bagno, con la sua valigia sopra. Un giorno nel bagno c’è stata una perdita, il suo dizionario di tedesco e i suoi libri, gli oggetti a lei più cari, si sono inzuppati. Ci sono diverse cose a cui non può rinunciare: qualche tempo fa ha messo davanti alla porta della sua camera un giglio bianco e un non-ti-scordar-di-me viola. 
Il giglio sta lentamente ingiallendo, ma resta l’oggetto più bello della stanza.
Ogni giorno Dapeng controlla su internet i prezzi delle case e ha visto che nel secondo semestre del 2012 le imprese edili sono tornate a investire nelle città di prima
fascia (Pechino, Shanghai, Canton e Shenzhen).
Nelle città di seconda fascia come Chongqing e Chengdu, la febbre immobiliare che durava da tre anni ha fatto aumentare fino al 40 per cento la quantità di edifici vuoti destinati agli uffici; contemporaneamente il continuo aumento dei prezzi dei terreni ha ridotto i margini di
profitto dei costruttori di edifici residenziali.
Così investitori e imprenditori si sono concentrati di nuovo su Pechino e Shanghai, dove la quota di edifici di fascia alta occupati destinati agli uici è vicino al 100 per cento e i prezzi degli affitti sono al livello di città come New York e Sydney.
Dapeng ha capito che con le sue entrate non può permettersi di comprare una casa, nemmeno una popolare. L’unica soluzione è cercare di guadagnare di più. Pensa a un gioco della Apple in cui si devono lanciare dei fogli accartocciati in un cestino. 
Sembra un gioco banale, ma negli Stati Uniti ha avuto milioni di utenti, rendendo ricco il
suo giovane inventore. Dapeng vuole creare un gioco miracoloso. Per realizzare il
miracolo si è indebitato e ora può permettersi solo questo loculo.
Yingzi vive al secondo piano. Per arrivare in uicio le bastano quattro fermate di autobus e con la tessera per i mezzi pubblici spende solo quattro mao (circa cinque centesimi di euro) a corsa. Tra le città dove è stata, forse Pechino è quella con i mezzi di trasporto pubblici più economici. Quando le chiedo se lascerebbe mai la capitale, lei risponde pronta: “Dimmi il nome di un’altra città con tutte le comodità di Pechino”.
In verità a Pechino non riesce a mettere da parte nulla e deve fare molta attenzione a come spende i soldi, ma almeno la sua azienda le ha fornito uniforme e abiti, permettendole di risparmiare qualcosa.
La paura più grande di Yingzi è il fuoco: se divampasse un incendio in uno spazio così affollato, non osa pensare a cosa succederebbe. Quando va al lavoro, prima di uscire, stacca sempre le spine dalle prese che ha in camera, spegne la lampadina del corridoio e, quando la vede ancora accesa, va a spegnere anche quella del bagno. 
Se scoppiasse un incendio, la migliore via di fuga potrebbe essere la veranda. Ma dal corridoio pieno di panni stesi passa solo una persona alla volta. 
Questa è in assoluto la casa con più inquilini dove Yingzi abbia mai vissuto. È arrivata da cinque mesi, ma non ha ancora conosciuto nessuno.
In un angolo del corridoio al secondo piano, tra il frigorifero, i cavi per la rete, la presa multipla e altre cianfrusaglie, c’è anche un distributore d’acqua che il proprietario riempie al rubinetto del bagno. Yingzi non beve mai da lì, compra sempre acqua minerale al supermercato, il lusso maggiore che si concede nella vita. 
L’inverno è vicino e dato che nella sua stanza non ha modo di scaldare l’acqua per il tè, l’unica soluzione che ha trovato è quella di bere molto in ufficio. La sera, cena con due biscotti.

Dapeng e Yingzi si sono incontrati solo in ascensore. Lui ricorda vagamente questa ragazza magra con i capelli lunghi:“È quella che cammina sempre a testa bassa”.
Agli occhi di chi non vive lì, questo complesso residenziale sembra bello e luminoso.
La struttura su più piani ha un’aria imponente, che sembra riflettere il modello di vita borghese delle pubblicità delle agenzie immobiliari. Si vedono mamme e bambini sorridenti, circondati dai iori di crisantemo e dalle foglie di ginko. Ma se si sposta lo sguardo sulla stradina adiacente al complesso, che costeggia un piccolo canale di acqua torbida, appaiono due ile di case disordinate e bettole da cui escono vapori di aromi soffocanti e di fogne maleodoranti.
La strada è molto rumorosa e caotica, piena di motorisciò di chi raccoglie materiali riciclabili e di fruttivendoli. Davanti alle case basse disseminate alla rinfusa, oltre alle pile di bottiglie di plastica e di scatole di cartone sono appesi anche pannolini, lenzuola e copriletto di diverse dimensioni. Dapeng in genere non fa caso a tutto ciò e scappa rifugiandosi nella sua
stanza.
Anche per Dapeng il pensiero più spaventoso è che scoppi un incendio. Sulla scala c’è un enorme groviglio di cavi elettrici e probabilmente anche il proprietario ha la stessa paura: quando Dapeng è arrivato gli ha raccomandato di non usare altri apparecchi elettrici oltre al computer. 
Una volta è saltata la luce a causa del distributore d’acqua del terzo piano. Dapeng, dopo
averlo saputo, si era spaventato al punto da non riuscire a dormire. Malgrado ciò un
giorno ha comprato su internet un bollitore elettrico per le uova e la mattina dopo ha attaccato di nascosto la presa sperando che nessun altro stesse usando apparecchiature elettriche. Presto ha scoperto che anche Yingzi, al piano di sotto, stava bollendo delle uova, e che un’altra persona stava per far bollire l’acqua anche lei di nascosto per preparare gli spaghetti istantanei.
Tutti i giorni, senza eccezioni, le porte delle stanze si aprono e si chiudono. A parte gli inquilini, che cambiano di continuo, il resto è sempre uguale: la maniglia del bagno del terzo piano cade appena la tocchi; il water al secondo piano non scarica bene e quando si va in bagno le scarpe e l’orlo dei pantaloni si inzuppano puntualmente; i materassi sono di tessuto sintetico, e quindi iniammabili; il proprietario ripete di continuo che nella casa non si può
fumare e nel bagno ci sono spesso cicche di sigaretta; la lavatrice fa un rumore assordante; e oltre al padrone di casa, Dapeng ancora non conosce nessuno.
Un collega ha consigliato a Dapeng di spostarsi verso Fangshan, nell’estrema periferia sudoccidentale della città, dove un giorno arriverà la metropolitana. Fangshan dista più di trenta chilometri dal terzo anello di Pechino e adesso che la metropolitana ancora non c’è, Dapeng dovrebbe alzarsi ogni giorno alle quattro, passare tre o quattro ore sui mezzi pubblici pigiato come una sardina, e andare a lavorare mezzo addormentato. 
La sera, dopo aver staccato alle sei, arriverebbe a casa tra le dieci e le undici e non avrebbe neppure sei ore di sonno. Finirebbe in un nuovo incubo.
In dieci anni le linee della metropolitana sono passate da due a quindici. 
Nel 2011 la popolazione con residenza temporanea a Pechino aveva superato gli otto milioni di persone, ma rispetto al 2010 era diminuita di seicentomila unità. Questo dato, rilasciato dall’ufficio di statistica della municipalità di Pechino, per la prima volta rivela che la popolazione temporanea è diminuita.
La crescita costante dei costi delle abitazioni a Pechino ha costretto molte persone ad andarsene. Dapeng ha anche pensato di tornare a Shenyang, la sua città natale, ma trascorrendo lì qualche giorno per capodanno gli è venuta nostalgia di Pechino, dei suoi mezzi pubblici affollati, dell’olio scadente e delle jianbing. Dapeng ha 29 anni e sono già cinque anni che non pensa all’amore, mentre prima sognava una vita in cui “mi sarebbe bastato avere una persona da amare, con cui alzarmi la mattina, lavarmi i denti, andare al lavoro e preparare la cena. 
Dopo cena io avrei lavato i piatti, poi avremmo visto insieme la tv e saremmo andati a letto”.
Ma per tutto questo serve un posto dove vivere.
Dopo un litigio furibondo con il proprietario, Dapeng oggi se ne va. Quando torna a prendere le sue cose, un ragazzo sta entrando in ascensore: è l’inquilino che vive da sei mesi nella stanza accanto alla sua. Sta per dirgli qualcosa, ma alla fine non gli esce fuori niente. In fondo non si sono mai rivolti la parola. 
Quando le porte si aprono Dapeng tira un sospiro di sollievo. È sabato e nelle stanze non vola una mosca. Un ragazzo del terzo piano gli passa davanti sfiorandolo per andare in terrazza a prendere le lenzuola inzuppate. Piove ed è prevista neve. 
L’inverno è alle porte e finalmente Dapeng sta per lasciare quel luogo da incubo.
Mentre sistema le sue cose, una ragazza con gli occhiali compare all’improvviso davanti alla porta: “Do un’occhiata alla camera”. Dapeng sta riordinando le uova scontate che ha comprato al supermercato per otto yuan e due mao, ormai quasi scadute. 
“Non è male qui, entra la luce del sole”, le dice indicando la finestra. Lei lo guarda con aria assente. È una finestrella sigillata all’esterno, una finestra rivolta a est da cui non si vedono le stelle. È grande come un quotidiano – Dapeng si è sporto infinite volte per misurare con lo sguardo la città nel fermento notturno e l’acqua luccicante nel laghetto del parco – e in caso d’incendio non servirebbe nemmeno come via di fuga. Fuori è buio, il traffico del terzo anello di Pechino, come al solito, scorre incessante.

(Ma Jinyu, Nanfang Xinwen Wang, Cina)


Fonte: Internazionale N°995, 12/18 aprile 2013



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