venerdì 19 aprile 2013

Il Venezuela nel limbo (Semana, Colombia)



Alle presidenziali del 14 aprile ha vinto di misura Nicolás Maduro, il delino di Chávez. Il candidato dell’opposizione ha denunciato brogli.


Il 15 aprile il Venezuela si è svegliato diviso. 
La notte del 14 aprile la presidente del Consejo nacional electoral (Cne), Tibisay Lucena, ha annunciato che il candidato del governo, Nicolás Maduro, aveva ottenuto la maggioranza dei voti. Ma la sua vittoria di misura – 265mila voti di scarto – è stata riconosciuta solo dai suoi sostenitori.
La metà del paese che ha votato per il candidato dell’opposizione, Henrique Capriles Radonski non riconosce Maduro come presidente legittimo. Capriles ha chiesto un
riconteggio.
I sogni di molti venezuelani dipendevano dal risultato elettorale. Ma il verdetto delle elezioni (le prime dopo la morte di Hugo Chávez, scomparso il 5 marzo) ha segnato l’inizio di una colossale crisi politica.
Durante la giornata del 14 aprile l’opposizione ha denunciato irregolarità nelle operazioni di voto e brogli. Video di voti guidati, intimidazioni e minacce contro gli elettori, e seggi aperti oltre l’ora consentita sono solo alcuni esempi che si aggiungono all’ormai lunga lista di denunce di Capriles sull’abuso di risorse pubbliche a ini elettorali da parte del Partido socialista unido de Venezuela (Psuv, al governo).
In varie occasioni Capriles ha dichiarato che, durante le elezioni del 7 ottobre 2012 vinte da Chávez, aveva taciuto su molti abusi, ma questa volta non avrebbe lasciato correre. 
Nessuno si è stupito quando ha annunciato di non riconoscere la vittoria di Maduro. 
Il candidato dell’opposizione ha spiegato che i dati in suo possesso erano diversi da quelli diffusi  dal consiglio elettorale, ha chiesto il riconteggio delle schede e ha denunciato in una conferenza stampa di avere una lista di oltre tremila violazioni della libertà di voto. 
Maduro, parlando dal balcone del palazzo Miraflores, ha definito la sua vittoria “giusta, legale e costituzionale”. Poi ha spiegato che Capriles lo aveva chiamato per telefono prima dell’annuncio dei risultati ufficiali per proporgli un accordo in attesa del riconteggio dei voti e della proclamazione del vincitore. 
Il delfino di Chávez sostiene di aver rifiutato qualsiasi accordo per le differenze radicali che lo separano dall’avversario e perché il paese non può sopportare una situazione d’instabilità. Ma poi ha aggiunto di non opporsi al riconteggio. “Magari vinciamo con un margine maggiore”, ha afermato Maduro. Per tutta risposta, Capriles lo ha accusato davanti al paese di aver travisato la loro conversazione: “Non faccio patti né con la menzogna né con la corruzione. Il mio patto è con Dio e con i venezuelani”, ha detto, aggiungendo che Maduro aveva vinto mientras tanto, per il momento. 
La frase ha ricordato la dichiarazione di Chávez dopo il fallito golpe contro Carlos Andrés Pérez il 4 febbraio 1992, quando davanti alle telecamere disse che gli obiettivi non erano stati raggiunti por ahora, per ora.

I chavisti hanno più motivi per preoccuparsi che per festeggiare. Maduro ha ottenuto il 50,8 per cento dei voti, ma avrebbe avuto bisogno di una vittoria schiacciante per rafforzarsi davanti al paese come un leader legittimo. 
Solo qualche settimana fa i sondaggi lo davano come favorito e pronosticavano un trionfo di almeno dieci punti percentuali su Capriles. 
Il risultato del 14 aprile conferma una tendenza degli ultimi giorni: Maduro ha perso più punti di quanti ne abbia guadagnati e il fervore nei confronti del chavismo è in calo. Gran parte dei voti ottenuti da Maduro sono merito di Chávez e della sua eredità, non delle qualità e della capacità di persuasione del candidato chavista.
Un margine così stretto di vittoria gli causerà problemi di autorevolezza all’interno del governo, dove non mancano divisioni e lotte per il potere.
I risultati rappresentano un campanello d’allarme per il chavismo: metà del paese non condivide l’idea chavista del Venezuela e non è disposta a continuare sulla strada della rivoluzione socialista del ventunesimo secolo. Il voto del 14 aprile ha dimostrato che tra i venezuelani c’è grande insoddisfazione per come sono andate le cose negli ultimi quattordici anni. L’opposizione ha subìto un’altra sconfitta, ma ha ottenuto una vittoria politica. Capriles ha dimostrato che, davanti alle side e alle diicoltà, invece di perdersi d’animo diventa più forte. Se prima le sue aspirazioni politiche non erano chiare, i voti ottenuti gli garantiscono una forza che lo trasforma nel leader indiscusso dell’opposizione venezuelana.
La situazione provocata dalle dichiarazioni dei due candidati rende poco credibile un processo elettorale che dovrebbe essere libero e democratico, ma è stato messo sotto accusa fin dall’inizio della campagna elettorale. 
Il consiglio elettorale non ha ammesso critiche né obiezioni alla sua gestione o al sistema di voto. 
Secondo il Carter center, uno degli ultimi organismi internazionali a cui in passato è stato permesso di avere osservatori elettorali internazionali
in Venezuela, dal punto di vista tecnico il sistema è un successo, ma è stato pensato per agevolare uno dei due schieramenti. 
In queste elezioni non ci sono stati osservatori internazionali. Le operazioni di voto sono
state seguite da una figura diversa, quella di “accompagnamento” da parte dell’Unasur, una soluzione che secondo il consiglio elettorale non “vìola la sovranità” venezuelana.
Tra gli accompagnatori c’era l’ex senatrice colombiana Piedad Córdoba, la cui vicinanza personale al chavismo è nota a tutti.
La funzione del Cne non è solo quella di organizzare le elezioni, ma anche di fare da arbitro in caso di eventuali divergenze e inconvenienti.
Nei prossimi giorni gli occhi del mondo saranno puntati sull’imparzialità
di quest’istituto.
L’altra istituzione discussa sono le forze armate bolivariane. Storicamente in Venezuela i colpi di stato dei militari hanno segnato l’inizio e la fine dei cicli politici. Il 14 aprile tutti e due gli schieramenti hanno lanciato messaggi ai militari per esprimere fiducia nelle forze armate e nel loro rispetto per le istituzioni. L’incertezza su quale sarebbe stata la reazione dei militari alla vittoria ufficiale di uno o dell’altro candidato era minima. 
Di recente, nel corso di parate ed eventi militari, si è sentito gridare lo slogan: “Pronti e addestrati a difendere la rivoluzione bolivariana e socialista”.
Oggi in Venezuela sono i militari ad avere davvero il potere. Il 25 per cento dei ministeri e il 52 per cento dei governi regionali è in mano a militari, attivi o a riposo. La sera del 14 aprile il generale Barrientos, responsabile del Plan república che coordina la sicurezza durante le elezioni, ha annunciato l’arresto di 43 persone. 
Le denunce, ha spiegato Barrientos, sono state trasmesse alla procura che, come gli altri organismi di controllo, è guidata da chavisti e negli anni ha dimostrato di non essere imparziale. L’opposizione ha comunque detto che ricorrerà a tutti gli strumenti offerti dalla legge e dalla costituzione per arrivare alla verità.
Oggi più che mai la democrazia in Venezuela dipende dalle sue istituzioni: dal consiglio elettorale per il riconteggio dei voti che confermerà o smentirà la vittoria di Maduro; dagli organismi di controllo e dalla giustizia, che dovranno dare corso alle denunce e processare i colpevoli; e dalle forze armate, incaricate di garantire la sicurezza in un paese politicamente diviso. Da questo e dal ruolo di leadership che dimostreranno di avere Maduro e Capriles dipenderà anche la riconciliazione nazionale: potrebbe essere la prima promessa non mantenuta della campagna elettorale.


(Catalina Lobo-Guerrero, Semana, Colombia)



Da sapere:

Alle presidenziali del 14 aprile ha vinto di misura Nicolás Maduro, il delino di Chávez.
Il candidato dell’opposizione ha denunciato brogli.

Il 14 aprile 2013 i venezuelani hanno votato per eleggere il presidente. I candidati erano Nicolás Maduro, scelto da Hugo Chávez come suo successore prima di morire, ed Henrique Capriles Radonski, della Mesa de unidad democrática.

La notte del 14 aprile il Consejo nacional electoral ha proclamato Nicolás Maduro vincitore con il 50,7 per cento dei voti, contro il 48,9 di Capriles. Il candidato dell’opposizione non ha riconosciuto la validità del risultato, ha denunciato brogli e ha chiesto il riconteggio dei voti.

Il 15 aprile, durante le manifestazioni seguite alla proclamazione dei risultati elettorali, sette persone sono morte e più di sessanta sono rimaste ferite. Capriles ha annullato la manifestazione prevista per il 17 aprile davanti alla sede del consiglio
elettorale. Maduro lo ha accusato di fomentare la violenza.



Fonte: Internazionale N°996, 19/24 aprile 2013

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