lunedì 24 settembre 2012

Capitali milionari in fuga e più tasse per i poveri (Die Zeit)



Da mesi i ricchi dell'europa meridionale fanno sparire in sordina i loro risparmi, spostandoli in quelle zone del continente che gli offrono un regime fiscale più vantaggioso.

E contribuiscono in questo modo ad aggravare la crisi dell'Eurozona.
Oggi greci, italiani e spagnoli fanno sparire miliardi dai loro conti: tra gennaio e maggio di quest'anno. per esempio, i depositari delle banche spagnole sono diminuiti di 86 miliardi di euro.
Le ragioni sono varie.
Una grossa fetta di questi capitali è finita spesso in conti svizzeri. La confederazione è un rifugio sicuro per i ricchi che non hanno fiducia nel loro paese. Diverse banche svizzere hanno reso noto che in alcune filiali le loro cassette di sicurezza sono piene.
Secondo un'indagine pubblicata di recente, nel 2011 i depositi dei clienti greci nelle banche svizzere sono passati da 1,5 a 4,3 miliardi di franchi (3,5 miliardi di euro). I depositari spagnoli sono cresciuti da 600 milioni a 7,9 miliardi di franchi, mentre quelli italiani sono passati da 1,4 a 16,5 miliardi.
Una delle conseguenze dello spostamento di denaro è che molti ricchi - o le loro aziende- alla fine pagano pochissime tasse o addirittura nessuna. Ci riescono attraverso l'evasione fiscale, ma anche grazie all'elusione fiscale, cioè l'uso di scorciatoie legali per aggirare le tasse, che è legittima ma ugualmente disastrosa per i paesi dell'europa meridionale.

Il comportamento di alcuni privilegiati rischia di minacciare la stessa tenuta del continente, sostiene l'ex ministro delle finanze tedesco Hans Eichel: "I ricchi che si sottraggono dall'obbligo delle tasse, rendono la pressione fiscale ancora più pesante per i poveri. Se i capi di governo europei non interverrannoo con determinazione, sarà in pericolo la democrazia stessa".



Fonte: tratto da Internazionale n°966, 14/20 settembre 2012 (articolo tratto da Die Zeit, Germania)


giovedì 20 settembre 2012

La NATO non intende intervenire in Siria: ecco il perché. (Agi)



Secondo un articolo pubblicato dal Sole 24 ore il 17 settembre, cito testualmente:
"La Siria, nelle scorse settimane, ha dimostrato in modo esemplare quali vantaggi strategici si possono ricavare dal possesso accoppiato di armi di distruzione di massa e di missili atti a lanciarle. La minaccia del regime di Assad di usare il proprio arsenale chimico «soltanto contro un invasore esterno» (la Siria è uno dei sette Paesi che non hanno firmato la Convenzione del 1993 per la messa al bando di questo tipo di armi e si ritiene possegga uno stock vasto e moderno di vari tipi di gas) è stata recepita con molta serietà dai Paesi circostanti ostili all'attuale dirigenza siriana, Israele e Turchia in primis, ma anche l'Arabia Saudita."

Fonte: http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2012-09-17/quelle-ambizioni-lungo-raggio-082247.shtml?uuid=AbzRKveG


Ecco dunque spiegato il perché, come recita un articolo del 20 settembre:
"L
a Nato non ha alcuna intenzione di intervenire militarmente in Siria. Lo afferma il segretario dell'Alleanza Atlantica, Anders Fogh Rasmussen, spiegando che la situazione in Siria e' completamente differente da quella libica. "In Libia siamo intervenuti in base a un mandato delle Nazioni Unite e avevamo un forte appoggio da tutta la regione, nulla del genere riguarda la Siria", spiega Rasmussen. "Sul piano religioso, etnico e politico la societa' siriana e' inoltre molto piu' complessa di quella libica, per questo un intervento avrebbe conseguenze incalcolabili per la regione. La soluzione migliore per la Siria e' di natura politica" .


Fonte: http://www.agi.it/estero/notizie/201209201045-est-rt10047-siria_nato_nessuna_intenzione_di_intervento_militare




Niente esportazione della democrazia.


Per questa volta.


Guarisce dal cancro al colon grazie a frutta e verdura (Il Sole 24 Ore)




Un cancro aggressivo al colon peggiorato e inoperabile: ad aprile di quest'anno la notizia che, ormai, non c'era più niente da fare. Eppure in quattro mesi, semplicemente cambiando la propria dieta, è riuscito a liberarsi della malattia: è quello che è successo ad Allan Taylor, settantottenne di Middlesbrough (Regno Unito) che, cercando su internet, ha messo a punto un nuovo regime alimentare eliminando carne rossa e latticini e sostituendoli con 10 porzioni di frutta e verdura crude al giorno, e prediligendo l'utilizzo di curry, orzo selvatico in polvere, semi di albicocca e integratori di selenio.

Dopo un intervento e tre mesi di chemioterapia per combattere contro il cancro al colon che lo aveva colpito, Taylor aveva ricevuto la notizia sul peggioramento delle sue condizioni di salute ad aprile: il tumore si era infatti diffuso anche all'intestino tenue. Seguì una diagnosi nefasta:cancro inoperabile. Poi il cambio di alimentazione che, spiega Taylor, lo avrebbe preservato da morte certa: «Ero determinato a mantenere un atteggiamento positivo - ha raccontato il settantottenne al 'Sunday Mirror' - e ho deciso di trovare da solo una soluzione, digitando sui motori di ricerca del web l'espressione 'cure per il cancro del colon'». All'inizio di agosto la notizia della guarigione: gli esami strumentali non mostravano più alcuna traccia delle anomalie riscontrate nell'intestino tenue.

venerdì 14 settembre 2012

Ideata e subito insabbiata la progettazione di un' automobile ecologia nel 1941 (Informare per resistere)



Il fondatore della casa automobilistica più famosa di tutti i tempi fu, all’insaputa di molti, l’ideatore di una delle prime automobili completamente ecologiche e green, sia per via dei materiali che la costituivano sia per via della fonte 

combustibile utilizzata per il suo funzionamento. 


Si tratta della Hemp Body Car, ideata da Henry Ford (1863 – 1947) nel 1941. 


L’automobile era costituita principalmente da fibre di cellulosa biodegradabili derivate dalla canapa e dalla paglia di grano, ma non solo. 


Il funzionamento del suo motore era stato reso possibile mediante l’impiego di etanolo di canapa. Già nel 1925 Ford aveva azzardato l’ipotesi di riuscire a creare un’auto completamente realizzata ed alimentata grazie alla canapa. 


Era inoltre certo che dalla maggior parte dei vegetali, comprese mele, patate ed erbacce, potessero essere tratte sostanze combustibili da utilizzare per il funzionamento degli stessi mezzi per la coltivazione agricola, garantendo la possibilità di coltivare i campi con l’ausilio di mezzi meccanici per centinaia di anni. 


La Hemp Body Car era alimentata dalla canapa distillata, il cui valore inquinante era stato indicato come pari a zero. Perché non venne mai prodotta su larga scala? Poiché Ford morì pochi anni dopo, nel 1947, e poiché nel 1955 la coltivazione della canapa fu proibita negli Stati Uniti.


Fonte: 
http://www.informarexresistere.fr/2012/06/13/le-5-piu-grandi-eco-invenzioni-dimenticate/#axzz26TpMQhe1

giovedì 6 settembre 2012

Le cattive ragazze di Mosca (Julia Iofe )



La mattina del 21 febbraio, a Mosca, Nadežda Tolokonnikova, Maria Alëkhina ed Ekaterina Samutsevič si sono avvicinate all’altare della cattedrale di Cristo Salvatore, si sono sfilate gli abiti invernali, hanno indossato dei passamontagna colorati e per quaranta secondi si sono messe a saltare tirando calci e pugni in aria. La sera stessa le tre ragazze hanno trasformato il tutto in un video musicale intitolato Preghiera punk. Madre santa, caccia via Putin, un modo per contestare il patriarca ortodosso e il presidente russo. Su internet il video si è diffuso come un virus.

Tre giorni dopo, contro le tre ragazze è stato emesso un mandato d’arresto. Stando all’atto di accusa, il loro processo prometteva di diventare un passaggio decisivo nella storia della cristianità: ufficialmente le ragazze
sarebbero state processate per teppismo, ma il procuratore ha spiegato che erano accusate di “aver insultato l’intero mondo cristiano”.

La preghiera punk rientra in una serie di performance che prendono di mira i simboli del regime, passato e presente. Le ragazze hanno spiegato di aver scelto la cattedrale di Cristo Salvatore perché a loro avviso
è stata trasformata in un centro commerciale e soprattutto per la decisione del patriarca Kirill di esortare i fedeli a votare Putin alle elezioni del 4 marzo 2012.

L’obiettivo delle Pussy Riot era lanciare una provocazione alla società russa. Ben presto, però, il gruppo ha scoperto che Vladimir Putin era determinato a imporre la sua estetica politica.

Il 30 luglio, nella prima giornata del processo, che si è aperto con le dichiarazioni delle imputate lette dai loro avvocati difensori, tutto è sembrato finalmente chiarirsi.
Le tre giovani hanno presentato le loro scuse ai fedeli che avevano offeso. Le tre Pussy Riot, che ogni tanto si appisolavano chiuse nella loro gabbia, si sono sentite accusare dallo stato russo di essere “motivate dall’odio religioso”, di “avere assunto una posizione cinicamente contraria al mondo ortodosso”, di aver “tentato di sminuire secoli di dogmi riconosciuti e venerati” e di aver “violato i diritti e la sovranità della chiesa
ortodossa”. Nel testo dell’accusa si legge anche che le ragazze hanno scosso “le fondamenta spirituali” della Federazione russa. Strano, avevamo la netta impressione che la Russia fosse uno stato laico.

Quando la giudice ha chiesto alle ragazze se si dichiaravano colpevoli o innocenti, Maria Alëkhina ha risposto che non capiva nemmeno in cosa consistessero le accuse. Alla seconda giornata di dibattimento il processo era ormai diventato un motivo d’imbarazzo per tutti. 
Perfino per i fedelissimi di Putin. Un esponente del partito di governo, Russia unita, ha scritto nel suo blog che, pur sentendosi offeso dall’esibizione delle Pussy Riot, sapeva bene che “un atto d’accusa basato sul canone ecclesiastico ortodosso del cinquecento avrebbe reso il paese lo zimbello del mondo intero”. 
Ben presto si è capito che le autorità non vedevano l’ora di chiudere la vicenda e spostare l’attenzione dell’opinione pubblica su qualcosa di meno imbarazzante.


La giudice ha fatto tutto il possibile per non far trapelare nulla fuori dall’aula. Tanto per cominciare, ha fatto sospendere lo streaming dal vivo del dibattimento, sostenendo che si trattava di una misura a difesa delle parti lese. Poi, il secondo giorno, ha spostato il processo in un’aula più piccola, che poteva ospitare non più di
dieci giornalisti. Solo quando chi è rimasto fuori ha cominciato a protestare, si è tornati nella vecchia aula. Il giorno seguente la giudice ha vietato anche l’uso di Twitter. 
Il processo, la condanna, l’aura del martirio: le Pussy Riot non avevano previsto niente del genere. Ma la loro esibizione ha toccato un nervo scoperto,

e la reazione esagerata dello stato è diventata subito parte dello spettacolo. Insomma, se il primo atto (la preghiera punk) era stato giudicato troppo provocatorio perfino da alcuni progressisti, il secondo (il
processo alle streghe) si è trasformato in una cause célèbre che ha riunito tutto il fronte dell’opposizione. Al processo sembrava di essere di fronte a un esempio perfetto di un genere letterario tipicamente russo: la
commedia nera che racconta i lati comici e assurdi dell’oppressione. E infatti le tre Pussy Riot hanno riso sonoramente per tutto il dibattimento.

Il che ha fatto ripetutamente perdere le staffe alla giudice, che a un certo punto ha strillato: “Dev’essere proprio divertente per voi!”. A quel punto la Alëkhina, trattenendo a stento una risata, ha risposto: “Macché, è tristissimo”. 
Definire quello delle Pussy Riot un processo spettacolo equivarrebbe a sminuirne

l’estetica grottesca. Non è stato un processo spettacolo, ma uno spettacolo sì: un sontuoso spettacolo tragicomico in cui tre ragazze di poco più di vent’anni, pur senza averne l’intenzione, hanno messo sotto scacco il regime.

Il 17 agosto le Pussy Riot sono state condannate a due anni di reclusione.



(Julia Iofe è una giornalista statunitense di origine russa. Vive a Mosca)

Fonte: Internazionale N°963, 24/30 agosto 2012.

Le ombre del nuovo Egitto (Ala Al Aswani)

Dopo sessant'anni di dittatura il popolo ha un nuovo presidente civile regolarmente eletto: Mohamed Morsi, che è riuscito a mettere fine al controllo dei militari destituendo il capo dell’esercito Hussein Tantawi e
revocando la Dichiarazione costituzionale. 
Adesso Morsi ha il potere e l’autorità necessaria per cominciare a costruire uno stato democratico.

Molti egiziani si sono chiesti se essere contenti che la dittatura militare sia finalmente caduta o
preoccupati del fatto che i Fratelli musulmani hanno preso il controllo dello stato.
I loro timori sono legittimi, per diversi motivi.

Primo: le preoccupazioni suscitate dai Fratelli musulmani a causa dell’ambiguità della loro organizzazione e delle loro fonti di finanziamento ricadono anche su Morsi. I Fratelli musulmani non sono un gruppo legalmente riconosciuto e le loro enormi risorse economiche non sono sottoposte ad alcuna forma di controllo. 
Il presidente dovrebbe convincere i leader dell’organizzazione a rendere pubblico il suo bilancio.
Secondo: Morsi si è riservato il diritto di formare una nuova commissione costituente se quella attuale dovesse
fallire. Questo è antidemocratico e inaccettabile. La costituente deve riflettere la volontà del popolo, non
i desideri del presidente, e dovrebbe essere scelta con libere elezioni.
Terzo: i ministeri dell’informazione sono strumenti di oppressione e manipolazione che esistono solo nei
regimi totalitari. I rivoluzionari chiedevano lo scioglimento del ministero dell’informazione di Mubarak.
Invece il presidente lo ha mantenuto e ha messo alla sua guida un esponente di spicco dei Fratelli musulmani,
che ha esordito decretando la chiusura del canale privato Al Fareen. È vero che questo network ha difamato
molti personaggi associati alla rivoluzione. In democrazia però le reti televisive non vengono chiuse con un provvedimento arbitrario, ma con la sentenza di un giudice. Se accettiamo la chiusura di Al Fareen, in
futuro qualsiasi canale dissidente rischia di scomparire.
Quarto: in tutti i sistemi democratici, i mezzi d’informazione criticano il capo dello stato, ma la legge non
li punisce. Ci sono leggi che difendono i cittadini dalla diffamazione, ma consentono di criticare duramente i ministri e i capi di stato. Questo perché si ritiene che chi critica il potere lo faccia nel pubblico interesse. Come
disse il presidente statunitense Theodore Roosevelt, “quelli che lavorano in cucina non possono lamentarsi
di quanto scotta il forno”. Invece il governo ha messo sotto processo il direttore del quotidiano Al Dustour
per aver insultato il presidente e “incitato alla lotta settaria”.
Quinto: la maggior parte dei quotidiani di stato egiziani sono corrotti. Per legge sono di proprietà del Consiglio
della shura, che un tempo ne nominava i direttori con l’avallo dei servizi segreti. Molti giornalisti sono abituati a collaborare con le autorità per assicurarsi una promozione.
Dopo la rivoluzione molti hanno chiesto che i giornali diventassero totalmente indipendenti. Ma il governo ha mantenuto il controllo del Consiglio – ora in mano ai Fratelli musulmani – e ha indetto un concorso per selezionare i nuovi direttori. Anche se alcuni di loro sono effettivamente qualificati, sono stati nominati con il consenso dell’organizzazione, e potrebbero perdere il loro incarico se la criticassero. Invece di favorire la nascita di una stampa indipendente, i Fratelli musulmani hanno solo abolito il controllo dei servizi di sicurezza su queste istituzioni, sostituendolo con il proprio.

Alla luce di questi fatti c’è da chiedersi: il presidente vuole davvero smantellare la dittatura e restituire il potere
al popolo egiziano? Oppure sta solo modificando quel meccanismo per il suo interesse personale, togliendo
il controllo ai militari per darlo alla sua organizzazione? Se il suo progetto è estendere l’influenza dei
Fratelli a tutti i settori dello stato egiziano, è destinato a fallire: il popolo che ha sfidato il regime di Mubarak, che ne ha determinato la caduta e lo ha messo sotto processo, non permetterà mai che l’Egitto diventi lo stato dei Fratelli musulmani. Se il presidente vuole fondare una vera democrazia deve affermare con i fatti di essere il presidente di tutti gli egiziani. Deve rilasciare tutti i rivoluzionari che sono ancora in prigione, e non solo gli
islamisti. Per dimostrare che rispetta l’uguaglianza tra i cittadini, deve affidare ai copti incarichi importanti e
modificare la composizione della costituente per fare in modo che rappresenti tutti i settori della società e non sia dominata dagli islamisti.


(Ala Al Aswani è uno scrittore egiziano).
Fonte: Internazionale, N° 964, 31 agosto/6 settembre 2012