venerdì 12 aprile 2013

I leader europei alla resa dei conti (Will Hutton)




C’è stato un tempo in cui vivere una vita virtuosa significava una cosa precisa: essere onesti, impegnarsi in qualcosa che andava oltre il proprio guadagno, mostrare un certo grado di altruismo e di modestia.
Chi arrivava ai vertici del potere poteva anche essere ambizioso e spietato, ma sapeva che guidare un paese significava dare l’esempio e mostrare di non pensare solo a se stesso. 
Ora non è più così. 
Forse la vera disgrazia della controrivoluzione conservatrice è stata l’energia investita nel sostenere l’idea che la virtù, quale che sia la sua importanza privata, non ha alcun valore pubblico.
Il paradosso, sostengono i nuovi conservatori, è che solo perseguendo il proprio interesse si possono far funzionare l’economia e la società. Meglio evitare di assumersi la responsabilità del bene comune.
La scomparsa della virtù è la piaga dei nostri tempi. Essere avidi è legittimo.
Possedere ricchezze comunque siano state ottenute, anche con premi scandalosi o evadendo il fisco, è l’unica cosa che conta. Ma in tutto l’occidente, le conseguenze di questa mentalità stanno diventando evidenti. 
Politica, affari e finanza sono stati danneggiati a tal punto che non funzionano più e si è
aperto un profondo divario tra le élite e la gente comune.
Il dramma in corso in Francia ne è un classico esempio. François Hollande è stato eletto presidente meno di 12 mesi fa perché prometteva un’amministrazione “esemplare” dopo il malcostume degli anni di Sarkozy.
Poi è arrivato Jérôme Cahuzac, fino a qualche settimana fa ministro del bilancio socialista alla guida della crociata contro l’evasione fiscale. È accusato di aver nascosto 600mila euro in un conto svizzero. Anche se si è dimesso, ha messo in crisi l’intera classe politica francese.
Già due ex presidenti, Chirac e Sarkozy, sono sotto accusa, uno per appropriazione indebita, l’altro per finanziamento illecito della sua campagna elettorale.
Ma l’affare Cahuzac va oltre, perché intreccia illegalità e ipocrisia. 
Il rischio è che a guadagnarci sia l’estrema destra del Front national, che cavalca la delusione non solo verso i politici ma verso tutte le élite. Ormai è evidente che c’è una regola per le élite e un’altra per la gente comune che deve sopportare l’austerità, un livello di vita più basso e la disoccupazione al 16 per cento.
Intanto, in Spagna, il primo ministro Mariano Rajoy è stato accusato di aver evaso i fisco per 250mila euro.
E la figlia di re Juan Carlos, Cristina, sarà processata per il ruolo svolto nei loschi affari di suo marito. 
In Italia il Movimento 5 stelle di Beppe Grillo ha ottenuto più del 25 per cento dei voti per protesta contro una classe politica corrotta. Grillo, almeno, non è un fascista. Ma se
non riuscirà a ottenere le modifiche alla costituzione che chiede, le forze instabili che ha scatenato potrebbero manifestarsi in forme molto più pericolose. 
In tutti questi paesi quello che serve sono politici puliti, con un programma credibile per contrastare i miliardari, riportare l’onestà nella vita pubblica e rilanciare le economie
stagnanti. Ma l’opinione pubblica conosce bene le nuove regole del mondo dei paradisi fiscali e dei bonus milionari ai dirigenti di banche e imprese, e l’ideologia che le giustifica. 
Oggi lo stato è considerato inefficiente e repressivo e i politici incapaci e impotenti.
Nel Regno Unito l’avvocato Anthony Salz, nel suo rapporto sulla cultura della banca Barclays, inveisce contro il “vuoto” morale dei 70 banchieri più pagati del paese, che negli ultimi dieci anni hanno perseguito i loro interessi ignorando quelli della banca in barba a qualsiasi
principio etico.
Sappiamo qual è la ricetta di una società giusta: mantenere la proporzione tra impegno e ricompensa, aiutarsi a vicenda nei momenti diicili e condividere i vantaggi della buona sorte. Ma una società simile dev’essere guidata da persone che rappresentano queste virtù. 
Fino a cinquant’anni fa, alla base della moralità pubblica c’era la fede religiosa: anche se si comportavano male, almeno le élite ne erano consapevoli.
Oggi stiamo assistendo alla rivolta delle élite prevista dallo storico Christopher Lasch vent’anni fa. Il codice morale che aveva le sue radici nel cristianesimo è stato indebolito dalla laicizzazione e dai precetti del libero mercato. E non c’è più un forte movimento dei lavoratori, convinto della realizzabilità del socialismo, che costringa le élite a essere oneste. Secondo Lasch c’era un’unica soluzione: riafermare la democrazia. Oggi abbiamo bisogno di una più profonda democrazia della responsabilità, con meccanismi costituzionali per fare in modo che i nostri leader pubblici e privati si assumano ogni giorno le loro responsabilità.
Da questo punto di vista, il movimento di Grillo forse presagisce un futuro migliore: l’idea che la politica italiana dev’essere più trasparente è giusta. Ma è solo l’inizio di quello che bisogna fare per riconquistare la fiducia dei cittadini. 
Ci vuole ancora più trasparenza, non solo nella politica ma anche nel mondo degli affari e nelle banche. È arrivato il momento di chiedere ai nostri leader, pubblici e privati, di rendere conto delle loro azioni.


(Will Hutton è un giornalista britannico. Ha diretto il settimanale The Observer, di cui oggi è columnist.)


Fonte: Internazionale N°995, 12/18 aprile 2013

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