venerdì 19 aprile 2013

Il risveglio dei sunniti di Falluja (Le Monde, Francia)



Dalla fine di dicembre del 2012 gli abitanti della provincia di Anbar, in Iraq, manifestano contro il governo di Baghdad. Perché si sentono emarginati dalle autorità sciite.

Dieci anni fa, a Falluja, una semplice manifestazione segnò l’inizio dell’insurrezione che
avrebbe trasformato la guerra in Iraq in un incubo per gli Stati Uniti. Ed è sempre a Falluja che circa cento giorni fa è cominciata l’intifada dei sunniti. 
Il 21 dicembre 2012 sono stati arrestati a Baghdad 120 guardie del corpo e uomini dello staf del ministro delle inanze Rai al Issawi, un sunnita. Al Issawi è sfuggito alla retata e si è nascosto a Falluja, la sua roccaforte. 
Da allora gli abitanti della provincia di Anbar sono impegnati in una nuova lotta: quella che li oppone al premier Nuri al Maliki, incarnazione di un potere confiscato dagli sciiti e consegnato nelle mani dell’Iran.
Stanchi di essere additati come sostenitori di Saddam Hussein o di Al Qaeda, e di essere considerati dei paria, i sunniti sono i grandi perdenti del nuovo Iraq. Ogni venerdì nelle aree sunnite del paese scoppiano proteste. I manifestanti hanno perfino eretto degli accampamenti. L’autostrada che collega Baghdad alla Giordania è interrotta all’altezza di Ramadi e il venerdì centinaia di migliaia di persone si danno appuntamento lì all’ora della preghiera. 
Il palco è coperto di slogan: “Il silenzio internazionale uccide”, “Gli Stati Uniti hanno regalato l’Iraq all’Iran e se ne sono andati”, “Settantamila sunniti sono rinchiusi nelle carceri
del governo”.
“Il nostro movimento è paciico, anche se il governo cerca di provocarci”, spiega Mejhem al Alwani, uno dei leader del movimento popolare di Ramadi. 
Dopo uno scontro che ha causato otto morti a Falluja il 25 gennaio, l’esercito si è ritirato dalle città sunnite della provincia di Anbar. Ma la zona è sotto assedio, soprattutto di venerdì. Per la prima volta dalla caduta di Saddam, una parte del territorio iracheno è interdetta ai
giornalisti stranieri.
“Non vogliamo più essere trattati come cittadini di seconda classe”, afferma Al Alwani. “I nostri figli non possono lavorare nella giustizia, nella polizia o nell’esercito. La legge antiterrorismo prevede che i nostri uomini e le nostre donne possano essere arrestati anche solo per una denuncia anonima. I nostri politici sono screditati da false
accuse”.
Malgrado la volontà di coinvolgere gli oppositori sciiti del primo ministro, i toni confessionali del movimento popolare sunnita mspaventano la comunità sciita. Soprattutto quando alle manifestazioni appaiono ritratti di Saddam Hussein o le bandiere nere di Al Qaeda. 
Al Maliki non ha mai smesso di agitare lo spauracchio dell’estremismo sunnita e di denunciare il sostegno della Turchia e del Qatar. Dopo la fuga di Al Issawi, la maggior parte dei ministri sunniti è uscita dal governo, con l’eccezione di due.
Uno di loro, Saleh al Mutlaq, all’inizio di gennaio è andato a Ramadi per mediare con i manifestanti. Ma, accusato di tradimento, ha corso il rischio di essere linciato.
I disordini hanno fornito ad Al Maliki il pretesto per sospendere le elezioni provinciali del 20 aprile nelle province di Anbar e di Ninive (la regione di Mosul), dove i suoi alleati sunniti sarebbero stati probabilmente sconitti.  L’opposizione ha denunciato la manovra. Per Rai al Issawi, il “movimento popolare” potrebbe sfociare in una richiesta federalista dei sunniti dell’Iraq: “Se non possiamo vivere con gli altri, allora separiamoci”.
Altri, più pessimisti, temono una radicalizzazione del movimento.

(Christophe Ayad, Le Monde, Francia)


Da sapere:
Il 20 aprile in Iraq si svolgono le elezioni per i
governatori di 12 delle 18 province. Il voto è
stato preceduto da una lunga serie di violenze:
dall’inizio del 2013 quattordici candidati sono
stati uccisi e ci sono state decine di attentati.
Gli ultimi, il 15 aprile in varie città del paese,
hanno causato cinquanta morti e trecento
feriti. Lo scrutinio permetterà di valutare la
popolarità del primo ministro Nuri al Maliki, in
particolare sul tema della sicurezza.


Fonte: Internazionale N°996, 19/24 aprile 2013



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