giovedì 12 luglio 2012

Frequenze tv: il ministro Passera abusa del suo potere (Il Fatto Quotidiano)


Il ministro Passera rinnova le autorizzazioni per vent'anni.

Chi l’ha detto che il mercato sia selvaggio e pericoloso? Chi l’ha detto sbaglia. Perché le televisioni italiane, grosse e piccine, possono dormire serenamente per i prossimi vent’anni. Oppure rassegnarsi perché nulla potrà più cambiare. Garantisce il ministero per lo Sviluppo economico, diretto dall’ex banchiere Corrado Passera, che rinnova le autorizzazioni per le frequenze (patrimonio pubblico) con un provvidenziale documento amministrativo: lo Stato fotografa il sistema attuale, pieno di conflitti e interferenze, e lo rende immodificabile sino al 2022, con una proroga automatica per altri dieci anni. Certo, può replicare il ministero, lo Stato può sempre ripensarci: a costo di pagare rimborsi milionari, però. Anni fa lo Stato decise decisedi chiamare il noleggio di Stato “diritto d’uso”. In cambio le aziende pagano un obolo calcolato sul fatturato annuo: l’1 per cento, spiccioli. Non soltanto le televisioni, e soprattutto Mediaset (e Rete4), godranno di vecchi privilegi per vent’anni, ma si ritrovano lo sconto applicato in anticipo.
NESSUNO PUÒ motivare questa fretta improvvisa del ministero, tranne il velenoso sospetto che sia servita a frenare l’assalto dei berlusconiani al presidente Anna Maria Tarantola, regolarmente eletta dal Cda di viale Mazzini proprio ieri, mentre lo Sviluppo economico comunicava la lieta notizia agli editori televisivi. In questo “condono” di massa finiscono tutti: le televisioni che riescono a trasmettere su frequenze teoricamente provvisorie, cioè Mediaset; le emittenti locali che vengono oscurate dai ripetitori più invasivi, ancora Mediaset. Non è semplice capire per quale timore (o pressione), in questi giorni, il ministero di Passera abbia ignorato la Conferenza di Ginevra che ordinava di rivedere la distribuzione delle frequenze televisive per migliorare le connessioni veloci: la famosa Banda larga che, per la parte di Italia che si trova sfortunatamente a sud di Roma, resta un miraggio. Ci vuole coraggio, e un senso di sfida, a rinnovare le concessioni quando l’Autorità competente è sospesa fra i due consigli, quello scaduto il 15 maggio e quello in arrivo il 16 luglio. L’Agcom (autorità per le garanzie nelle comunicazioni) doveva scrivere un piano per le frequenze; c’era una bozza provvisoria, in attesa di redigere il testo definitivo.
IL MINISTERO ha sbandierato a lungo l’abolizione del beauty contest e la prossima asta onerosa che potrebbe scalfire il duopolio italiano: ora, perché l’hanno dimenticato? Forse perché sanno che l’asta sarà inevitabilmente rinviata di un paio di mesi: e chi vivrà, vedrà. Il commissario Nicola D’Angelo, in carica ancora per pochi giorni, ha spedito una lettera ai vertici Agcom per chiedere spiegazioni. Non ha ricevuto risposta. Ma nei commenti privati, in Autorità parlano di un’accelerazione inaspettata e assurda: “Come fanno a concedere qualcosa senza un piano? È un abuso pazzesco”. Il ministero si difende evidenziando l’assoluta buona fede: “Non potevamo ritardare, ci avrebbero subissato di ricorsi. Il limite era il 30 giugno. È vero che la situazione è in continua evoluzione, ma lo Stato non abdica ai suoi poteri, potrà sempre intervenire. E Mediaset ne esce penalizzata perché non potrà trasformare le frequenze telefoniche che possiede in quelle televisive”.
La cartolina che spediamo in giro per l’Europa è sempre la stessa, in fondo, e forse non spaventa: Mediaset rafforza il suo dominio, La7 s’accontenta del cantuccio, la Rai assiste inerme, le emittenti locali soffrono, gli imprenditori stranieri non superano la frontiera. La cartolina è pronta. Il francobollo è valido per vent’anni.

mercoledì 11 luglio 2012

Spending review approvata: si taglia tutto, ma non gli armamenti (I Segreti della Casta)




Ieri è stata approvata la spending review con tutta la serie di licenziamenti, tagli e riorganizzazioni annesse e connesse ma vi è stata una conferma: il progetto F-35 Joint Strike Fighter procede.

Costruito dalla Lockheed è l’aereo piú costoso al mondo: il prezzo speciale riservato all’Italia è 200 Mil di Euro ad esemplare chiavi in mano. L’Italia ne vuole 90, inizialmente erano 131, quindi andrà a spendere 18 Mld di Euro, di cui 12 sicuri, cioè piú della metà della finanziaria Monti o dei tagli proposti nella proposta di revisione di spesa.

I 90 simpatici velivoli andranno a poggiare le loro alucce sulla neo portaerei Cavour, costo 1,4 Mld di Euro e 200 Mila Euro/giorno di spese di navigazionie Si andranno a sommare ai: 121 Eurofighter,100 elicotteri Nh90 e al progetto Fremm. Escludendo quest’ultimo, costo 6 Miliardi di Euro, la spesa ipotizzata due anni fa era di 29 miliardi di Euro.
È in corso un programma di sostituzione di armamenti aerei che ci porterà ad essere tra i primi 10 paesi al mondo, con circa 200 esemplari, considerando che i 3/4 saranno nuovi di pacca e l’altro quarto composto da Tornado di tutto rispetto. Arriveremo al pari dell’Inghilterra che certamente ha piú rischi di noi, vedi Falkland/Malvinas, e ha partecipato molto piú fattivamente agli ultimi conflitti come Iraq e Afghanistan su tutti.
Ma che ce ne faremo di tutti questi armamenti, considerando che i paesi vicini a noi, Russia a parte, sono tutti alleati UE? Quante missioni internazionali dovremo sostenere, considerando che ci costano 1,4 Mld di Euro?
Tenete presente poi che poi che l’ F-35, pur essendo il caccia piú costoso al mondo, presenta notevoli falle. È vulnerabile ad attacchi elettronici, è hackerabile e soprattutto non è adatto a campagne stile Iraq o Afghanistan, praticamente le uniche per cui l’Italia potrebbe utilizzarlo.

Mi domando, allora, perchè l’Italia stia portando avanti questo programma di rinnovo e mi balena alla mente il caso Greco. Atene ha dovuto comprare dalla Germania 170 carri Leopard e 223 cannoni obsoleti dismessi dalla Bundeswher, costo 1,7 Mld. Ha fatto molto clamore la vendita di 4 sottomarini al prezzo di due per 1,3 miliardi di Euro. La Francia ha imposto ad Atene 6 fregate e 15 elicotteri, costo 4 Mld.
Il binomio “io ti finanzio e tu mi paghi sottobanco in armamenti” vale oggi piú che mai.

Thailandia: l'infanzia negata dei bambini boxeur (Giornalettismo)


Dimenticate la comoda panchina di un campo di calcetto, la serena tribuna di un palazzetto dello sport, i confortevoli spogliatoi di una piscina. In Thailandia genitori e figli per inseguire il sogno di un futuro glorioso nel mondo dello sport frequentano i ring dove i bambini vengono allenati alle botte, al sangue e alle lacrime.
E’ la muay thai, nota anche con il nome di boxe thailadese, la disciplina nazionale nella quale tutti i giovanissimi sognano di affermarsi per diventare ricchi e famosi. Lo spettacolo della sfida è inquietante. Piccoli atleti si sfidano a colpi di pugni a calci fino all’ultima goccia di energia davanti agli occhi appassionati di centinaia di spettatori schierati con l’uno o l’altro combattente. Proprio come il calcio nostrano, i match sono frequenti. I campionati disputati in tutto il paese fanno emergere le nuove promesse della lotta, nascono celebrità, e i successi invitano a nuovi, più agguerriti, incontri.
In molti casi sono proprio i genitori, soprattutto nelle zone rurali, a spingere i loro bambini alla muay thai. Dal nord-est del paese i giovanissimi si spostano verso Bangkok ed altri grandi campo di addestramento nella speranza di poter diventare un giorno fonte di guadagno per i propri familiari. La disciplina si è diffusa nei secoli scorsi come metodo per difendersi senza ricorrere alle armi.  E’ chiamata anche la scienza degli otto arti, perchè sono otto i punti di contatto con l’avversario consentiti: mani, gomiti, ginocchia, piedi.

Roma: carabinieri in borghese aggrediscono ragazzo somalo (Il Corsaro)


Erano le 20 e 30 quando i ragazzi del Nuovo Cinema Palazzo di San Lorenzo hanno sentito delle grida in Via degli Ausoni a poche decine di metri dal cinema occupato. 
La scena che hanno trovato davanti ai propri occhi e prontamente ripreso con una videocamera era l'ennesima vergogna italiana: un ragazzo somalo, rifugiato politico, è stato fermato, strattonato e spintonato da quattro persone scese da una Renault Clio che non si identificano inizialmente come carabinieri.  Dopo poco sono arrivati rinforzi, tre volanti da cui sono scesi e cominciano a spintonare chi era li reagendo al sopruso.
Dopo avergli tolto il borsello hanno provato a spingere in auto il ragazzo, ormai ammanettato e in preda al panico, che a quel punto ha accusato un attacco epilettico. Arrivata l'ambulanza che porta il ragazzo in ospedale decine di persone bloccano l'auto dei carabinieri e pretendono la loro identificazione, che avviene solo dopo un'ora e all'arrivo della polizia di stato.
Scrivono nel loro comunicato i ragazzi del Nuovo Cinema Palazzo: "Questo è quello che succede in pieno giorno a San Lorenzo. Noi riteniamo inaccettabile quello che è successo oggi. I problemi del quartiere vengono affrontati dall' amministrazione cittadina tramite la presenza ossessiva e in questo caso violenta, delle forze dell'ordine. A nostro avviso San Lorenzo si deve difendere con la cultura, con la condivisione e con la partecipazione e continueremo ad affermalo ancora più forte dopo lo spettacolo indecente e vergognoso a cui molti di noi oggi hanno assistito."

lunedì 9 luglio 2012

USA: riforma sanitaria approvata dal Congresso (Paul Krugman, The New York Times)



La corte suprema - contro ogni previsione - ha dato il via libera all’Affordable care act, la riforma sanitaria fortemente voluta da Obama.
Saranno 30 milioni i cittadini americani che  avranno un’assicurazione sanitaria grazie alla riforma, ma altri milioni di americani, anche quelli contrari alla riforma, potrebbero beneficiarne.
Aggiungiamo quindi tutti i cittadini che oggi hanno una buona assicurazione sanitaria pagata dall’azienda per cui lavorano ma che rischiano di perdere il posto; tutti quelli che non potrebbero permettersi un’assicurazione sanitaria ma che ora riceveranno un importante aiuto economico; tutti gli americani con problemi di salute che oggi si vedrebbero brutalmente negare l’assistenza sanitaria in molti stati.

Secondo le stime dell’ufficio del bilancio, le “prestazioni di copertura” previste dalla riforma (cioè le sovvenzioni necessarie per rendere l’assicurazione accessibile a tutti) nei prossimi dieci anni costeranno circa un terzo di quanto costerebbero i tagli alle tasse – quasi tutti a favore dei ricchi – proposti da Mitt Romney nello stesso periodo.
L’Affordable care act, invece, ha copertura totale, grazie a una combinazione di aumenti delle imposte e tagli alla spesa. Perciò la legge convalidata dalla corte suprema, oltre a essere un atto di civiltà, è anche fiscalmente responsabile.
Non è perfetta, tutt’altro: il risultato è uno strano ibrido tra assicurazione pubblica e privata che nessuno avrebbe scelto se avesse dovuto ripensare il sistema da zero.
Questo ci porta al comportamento di chi ha provato ad affossare la riforma, e che continuerà a provarci nonostante questa sconfitta.  A prima vista l’aspetto più sorprendente della campagna contro la riforma sanitaria è la disonestà. Gli americani ricorderanno i death panels, i famigerati “comitati della morte” composti da burocrati che secondo Sarah Palin avrebbero deciso quali cittadini erano idonei a
essere curati e quali no. E ricorderanno come gli avversari della riforma accusavano Obama di gonfiare i conti pubblici e allo stesso tempo gli rinfacciavano i tagli al Medicare.
La cosa più sorprendente è la crudeltà dimostrata dagli avversari della riforma.  Non hanno nemmeno presentato una proposta alternativa per aiutare gli statunitensi senza copertura sanitaria.
L’opinione della stragrande maggioranza dei giuristi non sfacciatamente conservatori – e anche di
alcuni di loro – era che la riforma non presentava problemi di costituzionalità.
E alla fine la corte ha confermato quest’orientamento. Ben quattro giudici però hanno bocciato la riforma, e lo hanno fatto dichiarando incostituzionale l’intera legge.  Dato l’orientamento prevalente tra i giuristi, è difficile non imputare questa posizione alla pura
e semplice faziosità politica.
Lo scontro politico non è finito, né sulla sanità né su ogni altro aspetto della società statunitense. La crudeltà e il cinismo che hanno reso così incerta questa sentenza della corte sono ancora tra noi e non ce ne libereremo facilmente.
Ma per ora festeggiamo. È stata una vittoria dello stato di diritto, della civiltà e del popolo statunitense.

(Paul  Krugman è un economista statunitense. Nel 2008 ha ricevuto il
premio Nobel per l’economia. Scrive sul New York Times)

Fonte: Internazionale, N° 956, 6/12 luglio 2012

domenica 8 luglio 2012

La Francia abbassa l'età pensionabile e l'Italia gioca al rialzo (Corriere della Sera)





In Francia si potrà nuovamente andare in pensione a 60 anni. Il Consiglio dei ministri approverà oggi il decreto che cancella uno dei punti fondamentali, certo il più simbolico, della riforma previdenziale varata da Nicolas Sarkozy a fine 2010.


Con l'ultima riforma della previdenza l'Italia avrà la più alta età di pensionamento tra i Paesi membri, uguale per uomini e donne. E ciò non accadrà chissà tra quanto ma già nel 2020. 
Secondo la tabella di marci dell'Unione Europea, già nel 2020 l'età di pensionamento in Italia sarà la più alta in Europa, con 66 anni e 11 mesi per uomini e donne.
Si arriverà, secondo le previsioni, a 68 anni e 11 mesi nel 2040, a 69 anni e 9 mesi nel 2050 e a 70 anni e 3 mesi nel 2060.
Il salto è enorme se si pensa che fino allo scorso anno nel nostro Paese l'età di pensionamento di vecchiaia era di 65 anni per gli uomini e 60 per le donne e c'era la possibilità di uscire dal lavoro con la pensione di anzianità a «quota 96» (60 anni d'età e 36 di contributi oppure 61+35). Ciò faceva sì che nei confronti internazionali sull'età media effettiva di pensionamento l'Italia accusasse un paio d'anni in meno della Germania: nel 2009 essa era di 60,8 anni per gli uomini e 59,4 per le donne in Italia contro i 62,6 anni e i 61,9 anni per i lavoratori e le lavoratrici tedesche. 


Fonte: http://www.corriere.it/economia/12_marzo_05/eta-pensione-record-italia-marro_5e7cda5a-6692-11e1-a7b0-749eb32f5577.shtml

venerdì 6 luglio 2012

Il costo della giustizia italiana (Linkiesta)


Giappone: ritorno in piazza contro il nucleare (Internazionale)


Il 29 giugno a Tokyo decine di migliaia di persone hanno manifestato sotto la residenza del primo ministro Yoshyhiko Noda contro la riattivazione dell'impianto nucleare di  Ōi, nella prefettura di Fukui. Si è trattato della prima grande manifestazione a Tokyo dalla fine degli anni '60. L'impianto p stato rimesso in funzione il 2 luglio tra le proteste degli abitanti delle zone circostanti.
Dopo l'emergenza la centrale di Fukushima, il governo giapponese aveva ordinato lo spegnimento di tutti i reattori per sottoporli agli stress test.
Quello di  Ōi è il primo a tornare in funzione.



Fonte: Internazionale N° 956, 6/12 luglio.

Il Segretario Generale dell'ONU contro la pena di morte





Il 3 luglio 2012, delle Nazioni Unite il segretario generale Ban Ki-moon ha invitato gli Stati membri delle Nazioni Unite che usano la pena di morte per abolire la pratica, sottolineando che il diritto alla vita è al centro del diritto internazionale dei diritti umani. 
Nel corso di un panel organizzato dall'Ufficio dell'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, Ban Ki-moon ha detto: "La presa della vita è troppo assoluto, anche irreversibile, per un essere umano di infliggere un altro, anche se è affiancata da un processo legale (...) Dove la pena di morte persiste, le condizioni di coloro in attesa di esecuzione sono spesso orribile, che porta alla sofferenza aggravata."
Ban Ki-moon ha, in particolare, sottolineato la necessità di un cambiamento tra gli Stati membri che impongono la pena di morte contro delinquenti giovanili. 
"Sono anche molto preoccupato del fatto che alcuni paesi ancora permettono giovani delinquenti sotto l'età di 18 anni al momento del presunto reato deve essere condannato a morte e giustiziato. La chiamata da parte dell'Assemblea Generale per una moratoria globale è un trampolino di lancio fondamentale per la naturale progressione verso una completa abolizione mondiale della pena di morte." 
Nel 2007, l'Assemblea generale dell'ONU ha approvato una prima richiesta di una moratoria mondiale della pena di morte, una risoluzione che è stata ripetuta negli anni successivi. 
Oggi, più di 150 Stati hanno abolito la pena di morte o non la praticano.


Fonte: http://www.deathpenaltyinfo.org/

I volti dei randagi di Taiwan poco prima dell'iniezione letale immortalati dal fotografo Tou Yun-fei





Gli ultimi istanti della sua vita in una fotografia.
Un fotografo di Taipei, Tou Yun-fei, da due anni sta fotografando i cani dei canili della sua città poco prima dell'iniziezione letale con la quale vengono soppressi. 

I bei ritratti di Tou Yun-fei sono oggetto di una grande mostra e di un lavoro di sensibilizzazione che vuole ridare dignità e individualità a questi animali, uccisi nell'indifferenza.

Un lavoro difficile dal punto di vista emotivo per il fotografo, che racconta di non essere riuscito a dormire e a mangiare per giorni quando ha iniziato il toccante rapporto ravvicinato con i condannati a morte. Ma il suo lavoro sta dando i suoi frutti e si sta aprendo la possibilità di un piano di prevenzione del randagismo che non preveda l'eliminazione dei cani.


Gli animali non sono oggetti. Ognuno di loro è un individuo.
Anche un ritratto a volte può fare la differenza per farlo capire.



Fonte: https://www.facebook.com/AttivismoNemesiAnimale



Diaz - Don't clean up this blood - "La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale" (Amnesty International)


Diaz - Don't Clean Up This Blood) è un film diretto da Daniele Vicari prodotto nel 2012 in Italia (distribuito in Italia da Fandango) ricostruisce i drammatici fatti occorsi nel 2001 a Genova, nella scuola Diaz, in occasione del G8. 
Il titolo fa riferimento a una frase scritta sui muri della scuola dopo l'infausto raid in cui numerosi attivisti appartenenti a movimenti pacifisti furono feriti nel corso della notte dalle forze di polizia. 
Vincitore al Festival di Berlino 2012 del Premio del pubblico della sezione Panorama.




La stampa commenta:
"Un applauso lungo e commosso a Berlino" (La Repubblica)
"Un film eccezionale! Mai uno schiaffo così preciso al potere" (Il Fatto Quotidiano)
"Un film magnifico" (L'Unità)


Ciò che è accaduto quella notte alla Diaz racconta di un paese in balia di sé stesso da molto prima di oggi. E di un popolo, noi, spesso volutamente “distratto” e propenso a voltarsi altrove per non vedere.
E con il pensiero le ho chiesto scusa per quello che il mio paese, con la sua indifferenza, le ha fatto.



Per tutta la giornata avevo fatto “il pari e il dispari” con me stessa per decidere se andare o no. Andare e farsi venire il mal di stomaco o non andare e dirsi “tanto cosa e’ successo lo so bene”. Ma voltare la testa dall’altro lato non è una cosa che mi appartiene. Quasi mai.

Verso la fine del film, quel singhiozzo che mi si era formato dentro da almeno un’ora, si è sciolto senza ritegno. Ho pianto di dolore e di vergogna, di rabbia e di desolazione, di frustrazione e di tenerezza.
Il film è potente. Come la realtà che racconta. Di una potenza che annichilisce. Come annichilisce il fatto che nessuno dei responsabili (dichiarati colpevoli) sia stato mai, nemmeno sospeso dal proprio lavoro. Uomini e donne, infangando il senso istituzionale di una divisa, si sono macchiati, con indifferenza, di atti cosi degradanti e amorali che richiederebbero punizioni esemplari.
Bisognerebbe che nessuno si voltasse dall’altra parte e che tutti andassero a vedere il film e si facessero delle domande e pretendessero delle risposte.
Tornando a casa, a piedi, da sola, pensavo alla ragazza tedesca torturata, picchiata e umiliata sessualmente dai poliziotti (e poliziotte); mi sono chiesta quando sia riuscita a riprendersi il suo sorriso.
Ho guardato l’orologio, era mezzanotte. Era il mio compleanno anche a New York e mi sono detta che, in fondo, mi ero fatta uno splendido regalo andando a vedere il film perchè non bisogna mai voltarsi dall’altra parte anche se ti fa un gran male.
Fonte: Una sera alla Diaz (di Angela Vitaliano per Il Fatto Quotidiano) 



giovedì 5 luglio 2012

"La storia è piena di movimenti dal basso" David Graeber (Occupy Wall Strett)

David Graeber (12 febbraio 1961) è un antropologo e attivista anarchico, di nazionalità statunitense.
Graeber ha un passato di attivista sociale e politico, noto soprattutto per la sua partecipazione ai movimenti di protesta contro il Forum Economico Mondiale a New York, nel 2002 e nel movimento Occupy Wall Street.
Ha insegnato antropologia all'Università di Yale, è stato Reader di antropologia sociale all'Università di Londra, ha tenuto la Malinowski Lecture alla London School of Economics, nel 2006, gli fu chiesto di tenere il discorso introduttivo del 100mo anniversario del Diamond Jubilee meetings dell'Associazione degli antropologi sociali.
e nel 2011, Graeber ha presentato la Distinguished Lecture che si tiene al dipartimento di antropologia dell'Università della California a Berkeley.



Fonte: Il Fatto Quotidiano.

Il ritorno di Berlusconi e quella preoccupante luce negli occhi.


E' possibile che Silvio Berlusconi torni al potere pochi mesi dopo le dimissioni forzate e gli alleluia della folla davanti al Quirinale? 
È meno improbabile di quanto possiamo immaginare. 
Certo, gran parte degli italiani non vuole il suo ritorno, e un voto di protesta docilmente aiuterebbe l’uomo che ha governato l’Italia per otto degli ultimi dieci anni a riciclarsi come simbolo del cambiamento. Ma il miliardario possiede molto denaro da usare
in un’eventuale campagna elettorale e, con le recenti dichiarazioni sui vantaggi di un ritorno alla lira per le esportazioni italiane, Berlusconi potrebbe aver trovato la linea vincente. L’Italia è più euroscettica di quanto si creda. 
Cioè, gli italiani sono europeisti convinti, perché considerano Bruxelles più affidabile di Roma, ma è anche vero che nel paese l’euro è associato all’inflazione e oggi è diventato un simbolo di stagnazione. 
La popolarità di Mario Monti è crollata. Nelle casse dello stato non c’è abbastanza denaro per stimolare l’economia, e senza crescita l’Italia non sarà in grado di ripagare il suo debito. Molti pensano che l’Italia potrebbe far ripartire l’economia solo attraverso un ritorno alla lira, la svalutazione della moneta e un boom innescato dall’aumento delle
esportazioni.
Un’alternativa sarebbe eliminare alcune barocche restrizioni all’economia italiana. 
Per avere
un’idea basta pensare a cosa è successo al binario 15 della stazione di Roma Ostiense, dove i passeggeri del nuovo treno ad alta velocità Italo, della compagnia privata Ntv, hanno trovato una cancellata alta due metri, messa dalla Rete ferroviaria
italiana (Rif). Rif si è giustiicata sostenendo che il contratto di cessione dell’ex air terminal,
oggi sede della Casa di Italo, prevede che la struttura sia fisicamente separata dalla stazione.
Barriere di questo tipo vanno oltre le capacità di un premier tecnico. Alle sue spalle, intanto, si
muovono un partito di destra in crisi e uno di sinistra che dovrebbe vincere le prossime elezioni, mentre il voto di protesta premia il Movimento cinque stelle del comico Beppe Grillo. Lo scenario politico, insomma, è molto instabile. Ecco perché Berlusconi ha quella preoccupante luce negli occhi.

Fonte: Internazionale n°955 del 29 giugno/5 luglio 2012.
Articolo tratto da The Guardian, Gran Bretagna.


Il referendum nascosto per tagliare gli stipendi dei politici italiani.



Da alcune settimane è partita la raccolta firme per tagliare gli stipendi di deputati e senatori. Un referendum abrogativo in tono minore, dato che nessuno ne parla. Promotore il partito dell’Unione popolare, che assicura di aver raggiunto quasi 200mila firme. 
«Abbiamo spedito i moduli a tutti i comuni italiani - spiega il segretario Di Prato - tutti i cittadini possono partecipare».


L’obiettivo è ambizioso. Devono essere raccolte 500mila firme entro la metà di agosto. Ma non impossibile. «Siamo quasi a metà strada. Al momento abbiamo circa 200mila adesioni».
Si tratta di ridurre «gli stipendi d’oro dei parlamentari», come spiega il manifesto dell’iniziativa. Un referendum abrogativo per modificare la legge 1261 del 1965, che determina l’indennità spettante ai membri del Parlamento. Se il referendum fosse approvato, a saltare non sarebbero gli stipendi di deputati e senatori - previsti dalla Costituzione - ma la diaria. 


Eppure sono in pochi a conoscere la campagna. «Ci stanno boicottando» denunciano dall’Unione popolare. «Poche righe sui giornali, pochissimo spazio in televisione. A darci una mano è il web: su facebook abbiamo già contattato circa 120mila cittadini». Tredicimila gli iscritti al gruppo. «È importante che tutti lo sappiano - lancia un appello Maria Di Prato - noi abbiamo inviato i moduli per la raccolta delle firme a tutti gli ottomila comuni italiani. Si può firmare ovunque, basta chiedere del referendum dell’Unione Popolare».
Nessuna adesione politica. «Ha aderito la base, diversi sindaci civici e alcuni comitati del Movimento 5 Stelle». Ma tra i parlamentari non ha ancora firmato nessuno. «Ci aspettiamo che Antonio Di Pietro e Nichi Vendola possano almeno fare qualche dichiarazione pubblica a favore di questa iniziativa».
L’iter non è comunque immediato. Le firme potranno essere consegnate in Cassazione solo a gennaio (nell’anno solare che precede le elezioni politiche è vietato presentare un referendum). Entro l’autunno del 2013 la Suprema Corte verificherà l’entità e la legittimità delle sottoscrizioni, che devono essere almeno mezzo milione. Più o meno nel gennaio 2014 la Corte Costituzionale valuterà i quesiti. Il tempo di convocare la consultazione popolare, e nella primavera del 2014 gli italiani potranno andare a votare. 


Tratto da: 
http://www.linkiesta.it/referendum-stipendi-parlamentari



Offensiva contro l'aborto in Turchia





Le recenti dichiarazioni del primo ministro turco Recep Tayyip Erdogan hanno avuto un effetto esplosivo: “Per come la vedo io, l’aborto è un omicidio” ed ha aggiunto che dietro gli aborti potrebbe ascondersi un complotto internazionale per limitare la crescita demografica della Turchia.
Il ministro della sanitò Recep Akdar sostiene che, se restano incinte, le donne stuprate dovrebbero comunque partorire: dei figli poi si occuperà lo stato.
Varie organizzazioni femminili hanno indetto manifestazioni e i social network si sono riempiti di commenti indignati. Uno dei principali quotidiani turchi h pubblicato un sondaggio che ha evidenziato la contrarietà di proibire l’aborto del 55,5 per cento dei cittadini turchi.
La ministra della famiglia, Fatma Sahin ha ripetuto che l’aborto non sarà proibito, ma nonostante questo sembra più preoccupata di definire l’omosessualità una “malattia” e a trattare le donne soprattutto come madri, che a promuovere i loro diritti.
Secondo la legge in vigore, adottata nel 1983 dopo il colpo di stato militare, la donna può interrompere la gravidanza fino ad un massimo di dieci settimane dal concepimento e se è sposata, occorre il consenso del marito.
La Turchia è un paese fortemente patriarcale dove la discriminazione di genere è molto radicata. Il “delitto d’onore” non è una rarità; l’incesto, le violenze domestiche e lo stupro della moglie commesso dal marito sono molto diffusi. 
Mettere fuori legge l’aborto avrebbe conseguenze molto gravi per le donne.  Se si dovesse arrivare a questo, chi ha denaro e mezzi potrebbe andare all’estero, ma le donne che non possono permetterselo cercheranno di risolvere il problema rivolgendosi a strutture clandestine e mettendo a repentaglio la loro stessa vita.
Dobbiamo subito far sentire la nostra voce in modo calmo, costruttivo ma fermo. Dobbiamo subito ricordare che le nostre nonne, appartenenti a tutte le fedi ed a tutti i gruppi etnici e vissute sotto l’impero ottomano, si sono impegnate con grande energia e determinazione per l’emancipazione e l’uguaglianza delle donne.
Cento anni dopo non possiamo tirare indietro l’orologio.




Elif Şafac è una scrittrice turca, nata nel 1971 a Strasburgo. 
Ha scritto l’articolo che ho riassunto per The Guardian.


Fonte:  Internazionale N° 954 del 22/28 giugno 2012.

Save the Artic



La compagnia anglo-olandese Shell sarà pronta a dare il via alle trivellazioni nell’Artico, se l’Amministrazione Obama deciderà per l’attuazione del nuovo piano quinquennale per l’estrazione offshore di oro nero. Nel caso si verificassero versamenti petroliferi in una delle zone dall’ecosistema più delicato del nostro Pianeta, sarebbe praticamente impossibile ripristinare le condizioni ambientali iniziali, a causa dell’inospitale clima artico.
Un incidente petrolifero potrebbe rivelarsi catastrofico per gli orsi polari e per le numerosecreature marine che popolano il Mar di Beaufort, nell’Artico, a nord dell’Alaska, e di Ciukci, la cui estensione è localizzata tra la costa occidentale dell’Alaska e la Siberia.
Dagli Stati Uniti è stato lanciato uno spot che sta facendo il giro del mondo, volto a contrastare le intenzioni della compagnia petrolifera, che si prepara ad operare lungo le coste del Circolo Polare Artico. Di fronte ad un eventuale disastro ambientale, la fauna artica sarebbe costretta a contare su scarsissime possibilità di sopravvivenza. Il video, che mostra quali potrebbero essere le condizioni di vita degli orsi polari nella peggiore delle ipotesi, è parte della campagna Keep Shell out of the Arctic!. La speranza dei promotori dell’iniziativa è che alla Shell venga negato dalle autorità statunitensi il permesso finale necessario per dare inizio alle trivellazioni, previste a partire dall’estate 2012.
Attualmente al mondo si conta siano rimasti dai 20 mila ai 25 mila esemplari di orsi polari, la cui sopravvivenza potrebbe essere messa ulteriormente a rischio dalle operazioni di individuazione ed estrazione dell’oro nero, soprattutto nel caso in cui si verificassero pericolosi assottigliamenti degli strati di ghiaccio sui quali essi necessitano di spostarsi per andare alla ricerca di cibo e se le specie di cui gli orsi si nutrono risultassero contaminate dal petrolio o diminuissero drasticamente di numero.
Ricordiamo infine che proprio la Shell si è resa responsabile, lo scorso dicembre, di un nuovo versamento di petrolio nelle acque oceaniche, che ha interessato le coste della Nigeria. A destare preoccupazione è il fatto che ben 40 mila barili di petrolio siano finiti in mare nel corso di operazioni ritenute di routine. Di fronte ad un incidente così recente, gli Stati Uniti dovrebbero essere spinti a riflettere maggiormente sulla propria decisione finale, proseguendo nel tenere conto di come un incremento del ricorso alle energie rinnovabili potrebbe condurre nel corso del tempo alla riduzione della dipendenza mondiale dal petrolio.



Cliccando il link qui sotto potete firmare la petizione e guardare lo spot promozionale in cui un'orsa polare  vaga per le strade di Londra alla ricerca disperata di cibo accompagnata delle note dei radiohead.

http://www.greenpeace.org/italy/it/Save-the-Arctic/?t

martedì 3 luglio 2012

Islanda: l'ora del riscatto!





Dopo il tracollo economico vissuto nel 2008, l'Islanda si è resa protagonista di una rivolta silenziosa: la sua risposta alla crisi finanziaria è diventata un modello virtuale per il resto del mondo. 
Uno dei rivoluzionari provvedimenti adottati è stato quello di ritenere responsabili del tracollo i leader politici. 
L'ex primo ministro, Geir H. Haarde, è diventato il primo leader europeo a essere portato in tribunale per il crollo delle banche. 
In seguito gli islandesi hanno fatto pressione sul loro presidente, Olafur Ragnar Grímsson, perchè indicesse un referendum: il Paese deve pagare i debiti delle banche a Regno Unito e Paesi Bassi? 
A questo referendum la nazione ha votato 'no' e il caso viene ora dibattuto in un tribunale europeo. Con un altro provvedimento senza precedenti il paese ha eletto democraticamente 25 cittadini incaricati di redigere una nuova costituzione. 
Un gruppo di consumatori ha denunciato le banche del Paese per aver concesso prestiti illegali e ha vinto la causa. E' stato istituito un tribunale speciale con 60 inquirenti per valutare le responsabilità di oltre 300 banchieri nella crisi che ha portato al collasso delle banche. In Islanda è giunta l'ora del riscatto.



http://www.serviziopubblico.it/fatti_e_persone/2012/06/14/news/islanda_l_ora_del_riscatto.html?cat_id=8



Fonte: www.serviziopubblico.it

La Regina Cattiva


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