giovedì 25 aprile 2013

La vecchia guardia è tornata in sella (The Economist, Regno Unito)


La rielezione di Napolitano dimostra che ormai la politica italiana non è divisa tra destra e sinistra, ma tra vecchi e giovani.




In Italia sta succedendo qualcosa di eccezionale, e per certi versi incredibile.
Il 20 aprile, dopo cinque votazioni senza esito, il parlamento in seduta comune ha rieletto il presidente della repubblica uscente, Giorgio Napolitano.
Nicholas spiro, un analista del debito pubblico, ha definito la rielezione di Napolitano “il segno più evidente della clamorosa inefficienza della politica italiana”.
In precedenza Napolitano aveva escluso la possibilità di un secondo mandato, ma i leader dei due principali partiti – Pier Luigi Bersani, segretario del Partito democratico (Pd), e silvio Berlusconi, leader del Popolo della libertà (Pdl) – sono saliti al Quirinale per convincerlo a restare. Napolitano ha accettato a malincuore. Così alla votazione successiva il presidente uscente ha ottenuto 738 voti su 1.007. 
È la prima volta nei 65 anni di storia della repubblica italiana che un presidente ottiene un secondo mandato.
L’insistenza sul ritorno di Napolitano ha segnato l’ammissione di una sconfitta e allo stesso tempo un sorprendente atto di sfida, perché arriva proprio mentre un’intera generazione chiede a gran voce il rinnovo dei vertici e una politica libera dagli interessi di partito. Questa richiesta ha trovato la sua espressione più radicale nel Movimento 5 stelle (M5s) dell’ex comico Beppe Grillo. Ma la voglia di rinnovamento è presente anche nei ranghi di sinistra ecologia libertà (sel) e in alcune correnti dei partiti tradizionali, come l’ala moderata del Pd che fa capo a Matteo renzi, giovane sindaco di Firenze. I vertici dei partiti tradizionali, comunque, hanno scelto di ignorare queste richieste.
In un primo momento Bersani e Berlusconi avevano raggiunto un’intesa su Franco Marini, ex sindacalista democristiano che fa parte del Pd. Poi, fallita la candidatura di Marini e arrivati al momento in cui sarebbe stata sufficiente solo la maggioranza assoluta per eleggere il presidente, Bersani ha cambiato rotta e ha optato per una scelta chiaramente di parte: Romano Prodi , ex presidente del consiglio di centrosinistra ed ex presidente della Commissione europea. La candidatura di Prodi, però, è stata affondata dai franchi tiratori del Pd. Al momento non è chiaro se i ribelli siano parlamentari di Renzi o nostalgici di Massimo d’Alema, l’ex premier che negli anni novanta ha contribuito alla caduta del governo Prodi. 
In ogni caso, all’interno del Pd gli interessi di parte hanno prevalso su quelli del partito in un modo che i suoi esponenti (e i suoi elettori) non dimenticheranno facilmente. 
Bersani, doppiamente umiliato, ha annunciato che si sarebbe dimesso dopo l’elezione del nuovo presidente della repubblica.
Alla ine dello scrutinio decisivo, il segretario del Pd è scoppiato in lacrime. Nel frattempo Berlusconi sorrideva compiaciuto, e ne aveva tutti i motivi. la rielezione di Napolitano ha devastato il Pd (una fusione mai troppo convincente tra ex comunisti ed ex democristiani) e ha raforzato la possibilità di una grande coalizione tra destra e sinistra, invocata da Berlusconi
dopo che le elezioni di febbraio hanno creato un’impasse politica. 
Probabilmente il Cavaliere, la cui immagine è ampiamente screditata, non otterrà un ministero, ma potrà comunque influenzare pesantemente il corso della politica italiana in un momento in cui deve affrontare quattro processi.

A questo punto all’orizzonte si delinea lo scenario di un governo guidato da Giuliano Amato, che ha già ricoperto l’incarico di presidente del consiglio più di vent’anni fa.
Un’altra soluzione possibile è la nomina di un altro governo tecnico simile a quello guidato da Mario Monti. Beppe Grillo, intanto, ha descritto la rielezione di Napolitano come un “colpo di stato” della vecchia guardia. In realtà la tesi di Grillo non regge, perché i partiti che hanno eletto Napolitano hanno ottenuto circa i due terzi dei voti alle elezioni. e in ogni caso il comico genovese, che non è mai stato eletto da nessuno, non è nella posizione di impartire lezioni
di democrazia. Il voto per l’elezione del presidente ha fatto saltare gli schieramenti della politica italiana, che un tempo era basata sulla contrapposizione tra destra e sinistra e ormai è spaccata tra vecchi e giovani. 
A quanto pare, nell’immediato futuro i vecchi continueranno a mantenere saldamente il potere nelle loro mani.

(The Economist, Regno Unito)


Fonte: Internazionale 25 aprile/2 maggio 2013 N°997

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