giovedì 16 maggio 2013

Operai senza diritti (Simon Mundy, Financial Times, Regno Unito)



La Samsung è sotto accusa per le condizioni dei lavoratori che assemblano i suoi prodotti nelle fabbriche cinesi.



I documenti pubblici della Samsung Electronics, come quelli di molte multinazionali, servono soprattutto a tranquillizzare gli investitori, sempre più attenti alle ricadute sociali del comportamento delle aziende. Alla prima riga del codice di condotta del gruppo sudcoreano si legge che la più grande azienda tecnologica al mondo rispetta “tutte le leggi e gli standard etici”. Ma ora, per la prima volta, qualcuno ha deciso di verificare questa dichiarazione d’intenti in tribunale. Alla fine di febbraio la Samsung è stata denunciata da tre associazioni francesi per la tutela dei diritti dei lavoratori (Sherpa, Peuples solidaires e Indecosa-Cgt). L’azienda è accusata di aver dichiarato il falso agli investitori e ai consumatori a causa di presunti abusi ai danni dei suoi operai e di quelli dei fornitori che producono in Cina. Il caso francese è la spia di una crescente attenzione internazionale per le condizioni di lavoro in Cina, dove le multinazionali sono accusate di scarsi controlli su catene di produzione sempre più complesse.
La denuncia francese si basa su alcuni rapporti dell’associazione newyorchese China labour watch, in cui si parla di illeciti sistematici commessi negli stabilimenti cinesi della Samsung e dei suoi fornitori. In due impianti ci sarebbero stati addirittura casi di sfruttamento del lavoro minorile. La Samsung sarebbe coinvolta in “pratiche commerciali ingannevoli”, in contraddizione con gli elevati standard etici a cui l’azienda dice di conformarsi.
“Il nostro è il primo tentativo di sanzionare a livello giuridico le chiacchiere vuote delle multinazionali”, dice William Bourdon, l’avvocato che ha presentato la denuncia in Francia. Bourdon, che guida la Sherpa, ha già costretto la multinazionale del petrolio Total a pagare cinque milioni di euro per abusi ai danni dei suoi operai in Birmania.
La Samsung nega le accuse di sfruttamento del lavoro minorile e di pratiche illecite all’interno dei suoi stabilimenti, ma ammette che a volte alcuni fornitori fanno lavorare gli operai oltre l’orario consentito.
L’azienda ha promesso di mettere fine a questa pratica “entro la fine del 2014”. Si tratta di un problema diffuso nelle fabbriche cinesi, dove il salario minimo è spesso al di sotto del livello di sussistenza, come ha dichiarato l’associazione China labour bulletin di Hong Kong.

Non è chiaro fino a che punto la denuncia possa influenzare gli investitori. I gestori di patrimoni con più di trentamila miliardi di dollari in portafoglio sono pubblicamente vincolati a rispettare i princìpi per l’investimento responsabile delle Nazioni Unite, che li obbliga a tenere conto dell’impatto sociale delle aziende in cui investono. Molti investitori, tuttavia, prima di disinvestire preferiscono “confrontarsi e richiedere standard più elevati” alle aziende accusate di pratiche scorrette, spiega Jamie Allen, segretario generale dell’Associazione asiatica per la corporate governance.
Le voci sulla Samsung, tuttavia, hanno già avuto un effetto. “Diversi gestori hanno messo il gruppo sudcoreano nella lista delle aziende su cui non possono investire in base alle indicazioni dei fondi di finanza etica”, osserva Pierre Ferragu, analista del settore delle telecomunicazioni della società di ricerche Bernstein.
È fondamentale il modo in cui un’azienda risponde alle accuse, dice Park Yookyung, consulente finanziaria esperta di governance dell’Apg Asset Management Asia, che investe nella Samsung. Se non si prendono provvedimenti adeguati su temi come lo sfruttamento del lavoro minorile, gli investitori si tirano indietro, aggiunge Park. “Se si dimostra che i dirigenti negano l’evidenza, a un certo punto bisogna prendere una decisione”.
Altre multinazionali che in passato sono state al centro di accuse simili hanno limitato i danni ammettendo l’illecito e prendendo subito provvedimenti. Nel 2001 la
Nike ha rilasciato una dichiarazione in cui ammetteva di essersi “fregata” per aver fatto produrre i suoi palloni dai bambini pachistani.
Nel 2006 la Apple ha risposto alle accuse di sfruttamento della manodopera istituendo una procedura di revisione annuale dei suoi fornitori e pubblicandone i risultati. 
I casi di sfruttamento del lavoro minorile registrati sono stati più di uno
(tranne che nell’ultima relazione della Apple). Secondo Li Qiang, direttore di China labor watch, la risposta della Samsung alle denunce dell’associazione è stata molto deludente rispetto a quella della Apple: l’azienda sudcoreana ha negato ogni responsabilità, nonostante la presenza di forti indizi di sfruttamento del lavoro minorile.
Nel dicembre del 2012 China labor watch avrebbe scoperto diversi bambini in una fabbrica che produce componenti per la Samsung. Appena due settimane prima l’azienda aveva smentito le accuse dell’associazione newyorchese in merito alla presenza di lavoratori minorenni presso un altro fornitore.
La Samsung non ha pubblicato una risposta dettagliata alle rivelazioni di China labour watch sulle condizioni di lavoro nelle sue fabbriche in Cina. Ha detto solo di essere fiduciosa che gli standard legali minimi siano stati rispettati. Secondo Li, il gruppo ha fatto dei passi in avanti sul trattamento dei lavoratori in Cina, ma nei suoi impianti si continua a violare la legge. “Non abbiamo mai trovato una fabbrica della Foxconn in cui gli straordinari raggiungono le 186 ore al mese. In una delle fabbriche della Samsung invece sì”.



(Simon Mundy, Financial Times, Regno Unito)


Fonte: Internazionale 10/16 maggio 2013, N°999

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