martedì 7 maggio 2013

L’ipocrisia di Washington (The Daily Star, Libano)



Anche nel dibattito sulle armi chimiche, gli Stati Uniti dimostrano che la loro retorica è vuota.



Nei due lunghi anni dall’inizio della guerra in Siria, gli Stati Uniti hanno inavvertitamente svelato molti degli obiettivi e delle preoccupazioni che guidano la politica estera di un paese che sta perdendo il suo status di superpotenza e la sua reputazione di poliziotto del mondo. 
La posizione che Washington ha scelto nel dibattito in corso sulle armi chimiche ha solo contribuito a confermare questa situazione. Gli Stati Uniti sembrano sempre più confusi su come affrontare questo conflitto che ha già causato 70mila morti e ha devastato le infrastrutture siriane. La terminologia usata finora dai politici e dai militari statunitensi è stata confusa e spesso senza senso, se non in contraddizione con quello che affermavano altri loro colleghi.
Quando, nel 2011, le manifestazioni della società civile furono represse con le armi, gli Stati Uniti, e l’occidente in generale, affermarono che non avrebbero tollerato un’escalation del conflitto.
Quando i proiettili diventarono colpi di mortaio, dissero lo stesso. E quando dal cielo cominciarono a piovere
missili, affermarono che non avrebbero tollerato oltre. Ma sembra che Washington abbia la grande capacità di ridefinire di volta in volta i limiti da non oltrepassare.
Ora che, secondo alcuni funzionari statunitensi, il regime di Damasco avrebbe fatto ricorso alle armi chimiche – da sempre considerate un limite invalicabile – si comporteranno di nuovo così? Dopo le disavventure in Iraq e in Afghanistan gli Stati Uniti sono diventati un paese diverso, soprattutto in politica estera, e soprattutto riguardo al Medio Oriente. 
Quando invasero l’Iraq nel 2003 giustificarono le loro azioni parlando di presunti depositi di armi chimiche di Saddam Hussein, che non furono mai trovati. Ora che “con vari gradi di certezza” si ritiene che Bashar al Assad abbia usato il sarin, un gas nervino, gli Stati Uniti invaderanno la Siria? È in troppo facile e deprimente, date l’indifferenza e l’inerzia mostrate finora nonostante il continuo peggiorare della situazione, dedurre che gli Stati Uniti in realtà s’interessano solo a paesi che possiedono vasti giacimenti di petrolio. A parte l’Iraq, per quale altro motivo si sarebbero precipitati in Libia?
Sia gli Stati Uniti sia la Russia, a quanto pare, sembrano più che contenti di veder proseguire questa guerra. A giudicare da come stanno le cose, ci vorranno almeno venticinque anni prima che la Siria torni a somigliare a quella che era un tempo, e stiamo parlando solodella sua ricostruzione. Guarire l’odio e le divisioni tra la popolazione richiederà molto più tempo.
Anche se la guerra finisse domani, la Siria non costituirebbe più la minaccia che era in passato. Riversando nel paese risorse che entrambi avrebbero bisogno di conservare, Hezbollah e l’Iran si stanno a loro volta indebolendo sempre di più. 
Per quanto si possa discutere di giustizia e rispetto dei diritti umani, gli Stati Uniti sono prodighi di parole e avari di azioni, preoccupati unicamente dei loro interessi perfino quando vengono uccisi quotidianamente dei bambini. In questa parte del mondo la retorica degli Stati Uniti suona sempre più vuota.

(The Daily Star, Libano)



Fonte: Internazionale 3/9 maggio 2013, N°998

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