lunedì 13 maggio 2013

La fine dell’austerità è solo un miraggio (Wolfgang Munchau, Financial Times, Regno Unito)


Il rigore economico durerà finché ci sarà l’euro. Sarà solo presentato in maniera edulcorata.


In Europa si parla molto di una imminente fine dell’austerità. Le elezioni italiane hanno messo in allarme i politici dei paesi dell’Europa meridionale, e anche la Commissione europea sembra possibilista. Per questo potrebbero esserci dei minimi aggiustamenti nella politica fiscale.
Il vero cambiamento, tuttavia, non riguarderà tanto la politica fiscale in sé quanto il modo in cui sarà venduta
all’esterno.
Un buon esempio di questa nuova strategia basata sulle pubbliche relazioni è il discorso pronunciato dal presidente del consiglio italiano Enrico Letta il giorno del suo insediamento. Letta si è scagliato contro l’austerità, ma allo stesso tempo ha sottolineato l’impegno dell’Italia a rispettare gli obiettivi di bilancio, come se le due cose fossero in qualche modo slegate. Il capo del governo italiano ha deciso di sospendere il pagamento di una tassa sugli immobili molto impopolare, che se fosse abolita creerebbe una voragine di bilancio di 8 miliardi di euro (con la restituzione della tassa versata nel 2012). Ora pare che il suo governo stia lavorando a un’imposta sostitutiva per tappare il buco.
Credo che l’Italia alla fine rispetterà il piano di riduzione strutturale del deficit. Ma poiché la crescita economica sarà inferiore alle attese, c’è una buona possibilità che il deficit nominale sforerà l’obiettivo. 
Al livello di politica fiscale, la prospettiva più probabile è che questo sforamento sarà tollerato, almeno in parte dall’Europa. Per capire il motivo di un cambiamento di rotta così modesto bisogna tenere conto del peso dell’austerità sui bilanci del 2012 e del 2013.
Nel 2010 in Italia il deficit strutturale dello stato, cioè al netto di entrate e uscite una tantum, era pari al 3,6 per cento del prodotto interno lordo. Nel 2011 era al 3,5 per cento. Nel 2012, secondo i dati dell’April world economic outlook del Fondo monetario internazionale, è sceso all’1,3 per cento. Le previsioni per il 2013 parlano di un ulteriore calo allo 0,2 per cento del pil. In altre parole, l’aggiustamento cumulato nel 2012 e nel 2013 dovrebbe ammontare a circa il 3,4 per cento del pil. Questa drastica correzione del bilancio è stata la causa dell’attuale recessione, la cui gravità è stata sottostimata sia dalla Commissione europea sia dal precedente governo italiano.

Adesso cosa succederà? Una clausola prevista dalla governance economica dell’eurozona dà ai governi europei la possibilità di ricalibrare gli obiettivi di bilancio durante le recessioni. È passata molta acqua sotto i ponti dai tempi in cui nell’eurozona c’era il vincolo inlessibile del 3 per cento nel rapporto tra deicit e pil. Questo vincolo c’è ancora, ma ora l’attenzione si è spostata sul deicit strutturale. È un passo in avanti, ma il meccanismo resta strutturalmente inluenzato dalle variazioni del ciclo economico. Inoltre l’Italia potrebbe uscire dalla procedura di infrazione del deficit, acquistando così ulteriore lessibilità grazie allo sblocco dei fondi per gli investimenti attualmente congelati. 
La leggera riduzione del carico dell’austerità ha un altro vantaggio: ridurrà i danni collaterali prodotti dai tagli alla spesa decisi frettolosamente dall’Italia. 
Per il governo italiano, infatti, l’austerità non è stata una spinta a consumare meno, ma un modo per non pagare i servizi erogati dai fornitori. Ora deve varare una legge ad hoc
per sbloccare questi pagamenti. Secondo me, questo è un caso di insolvenza.
L’effetto di questo cambio di strategia quindi è maggiore di zero, ma non di molto. L’eurozona continua a marciare verso il pareggio strutturale di bilancio, contrariamente a quanto stanno facendo gli Stati Uniti, il Regno Unito e il Giappone. E la politica iscale continuerà ad avere un effetto negativo sulla crescita.
Se l’eurozona stesse seriamente pensando a una marcia indietro sull’austerità, i paesi creditori dovrebbero essere disposti a spendere di più durante la recessione. Invece sta avvenendo il contrario. 
La Germania, che ha maggiori possibilità di spesa rispetto all’Italia, ha adottato un aggiustamento fiscale più o meno della stessa entità. Tra il 2010 e il 2012 la correzione al saldo del bilancio strutturale è stata pari al 2,5 per cento del pil. L’Italia e la Germania dovrebbero raggiungere il pareggio di bilancio rispettivamente quest’anno e nel 2014. Non c’è alcuna possibilità che la Germania, in particolare, accetti di stimolare l’economia dei paesi dell’Europa meridionale. Questo perché Berlino si è legata le mani approvando una legge sul pareggio di bilancio che impegna il governo a rispettare a tempo indeterminato livelli di deficit vicini allo zero.
Il fiscal compact, un trattato intergovernativo entrato in vigore a gennaio 2013, rispetto agli accordi precedenti concede molta meno flessibilità ai paesi che cercano di raggiungere gli obiettivi di riduzione del deficit. L’Italia dovrà ripagare ogni anno una quota del debito pubblico superiore al 2 per cento del pil. Per farlo i governi italiani dovranno realizzare
surplus strutturali per quasi una generazione.
Se davvero si vuole mettere fine all’austerità bisogna cominciare con l’abolizione del fiscal compact e con una modifica delle direttive che regolano la politica di bilancio europea. Ma non credo che questo accadrà. L’austerità resterà, ma sarà presentata in termini edulcorati. E durerà finché ci sarà l’euro.



(Wolfgang Munchau, Financial Times, Regno Unito)


Fonte: Internazionale 10/16 maggio 2013, N°999

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