domenica 5 maggio 2013

Intesa moderata (Philippe Ridet, Le Monde, Francia)



Molte donne, età media bassa, nessun leader dei due schieramenti. Per il governo di Enrico Letta la vera incognita è Silvio Berlusconi, che può deciderne la durata.

C’è molto di nuovo nel governo di Enrico Letta. La diicile nascita di questo governo di tregua mette fine a una lunga campagna elettorale cominciata a dicembre del 2012 con le primarie del centrosinistra, l’ennesima “discesa in campo” di Silvio Berlusconi e la “salita in politica” di Mario Monti. 

Una campagna elettorale che ha lasciato tracce profonde ed è stata segnata dall’irruzione sulla scena politica del Movimento 5 stelle di Beppe Grillo, il cui successo è suonato come un campanello d’allarme per tutti i leader politici. In queste circostanze, e in assenza di altre soluzioni di lunga durata, destra, sinistra e centro si sono accordati per un matrimonio dettato dalla ragione, come avevano già fatto nell’autunno del 2011 sostenendo il governo di Mario Monti e rinviando a un secondo momento la competizione.
Adesso hanno fatto un passo in più, accettando di esporsi in prima persona e formando un governo politico di larghe intese. 
Da quando, nel 1994, Silvio Berlusconi è entrato in politica creando profonde divisioni, è la prima volta che accade una cosa del genere. Nove ministri di sinistra, cinque di destra, tre di centro e tre provenienti dalla società civile formano il governo presentato il 27 aprile. Per la prima volta ci sono sette donne. Per la prima volta una di queste donne, la femminista Emma Bonino, guiderà la diplomazia italiana. Per la prima volta una donna nera, Cécile Kyenge, nata nella Repubblica Democratica del Congo, fa parte di un governo nel ruolo di ministra per l’integrazione. Conta di intervenire sulla legislazione italiana basata sullo ius sanguinis (il diritto di sangue, i figli acquisiscono la stessa cittadinanza del genitore).
Anche la reazione della Lega nord all’annuncio della sua nomina è di per sé una buona notizia.

L’età media di questo governo è di 53 anni (contro i 64 del governo uscente). 
Un paradosso: l’Italia deve a un uomo politico di 87 anni, il presidente della repubblica Giorgio Napolitano, l’uscita da una situazione di impasse. Accettando controvoglia di essere rieletto al Quirinale, Napolitano ha spinto i partiti ad assumersi le loro responsabilità. Secondo i giornali italiani che seguono più da vicino le vicende del Quirinale, la stretta di mano tra Letta e Napolitano, il giorno della presentazione del governo, è durata più del tempo necessario a esprimere la gratitudine del primo verso il secondo. “Questo governo ha il marchio di Napolitano”, spiega il politologo francese Marc Lazar. “È lui ad avere imposto il presidente del consiglio e il programma. Ma Letta appare tutt’altro che sbiadito. 
Il ringiovanimento e la presenza femminile sono una prima risposta a chi ha votato per Grillo. Durerà? È difficile fare una previsione, ma questo governo dovrà sostenere le pressioni di Napolitano, che ha il potere di sciogliere il parlamento, e dell’opinione pubblica, che pretende dei risultati”.
Per giungere a questo inedito equilibrio tra destra e sinistra, simboleggiato dalla scelta di Angelino Alfano, il braccio destro di Silvio Berlusconi, come vicepresidente del consiglio, ognuno ha fatto la sua parte.
I “falchi” dei due schieramenti sono stati esclusi a favore di personalità capaci di riscuotere maggiori consensi. Il nuovo presidente del consiglio si è rivolto a uomini e donne che ha avuto modo di frequentare in alcuni dei tanti think tank trasversali di cui fa parte. Ecco un aneddoto rivelatore: la ministra dell’agricoltura, la berlusconiana Nunzia De Girolamo, ha sposato un deputato del Pd molto vicino a Letta. Infine, con l’eccezione non da poco di Emma Bonino, dichiaratamente atea, la maggior parte dei ministri è cattolica, e due – Maurizio Lupi (ministero delle infrastrutture e trasporti) e Mario Mauro (ministero della difesa) – appartengono al movimento di Comunione e liberazione.

La sinistra, uscita a pezzi dalla crisi sfociata nelle dimissioni del suo leader, Pier Luigi Bersani, non ha avuto altra scelta che affidarsi al nuovo presidente del consiglio per salvare il salvabile.
I suoi rappresentanti nel governo si distinguono da un lato per la loro appartenenza alla corrente riformatrice del Partito democratico, come lo stesso Letta che proviene dalla Democrazia cristiana, dall’altro per un percorso lontano dalla segreteria del partito, come l’ex rettrice della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, Maria Chiara Carrozza (ministra dell’istruzione, università e ricerca), o l’ex campionessa olimpica di kayak di origine tedesca Josefa Idem (ministero dello sport, pari opportunità e politiche giovanili). 
Solo due ministri hanno militato nel Partito comunista italiano. Dal canto suo, la destra, data per spacciata prima delle elezioni, si ritrova in una posizione insperata. E Berlusconi ha riconquistato il suo ruolo centrale. Non avrebbe imposto, stando alle sue dichiarazioni, alcun nome a Letta. Tuttavia, tornato a essere “azionista di riferimento” del governo dopo aver dovuto cedere il potere nel novembre del 2011, gli basterà alzare o abbassare il pollice per deciderne la durata, soprattutto se il tribunale di Milano dovesse condannarlo in via definitiva in uno dei tre processi in corso contro di lui.


Secondo i sondaggi, il suo partito, il Popolo della libertà, uscirebbe vincitore da eventuali nuove elezioni. Secondo Beppe Grillo, gli 8,5 milioni di elettori che hanno votato per il Movimento 5 stelle sono stati “scacciati come cani da una chiesa”.
Le priorità di questo “governo di servizio”, come l’ha battezzato Letta, sono state stabilite dalle due commissioni di saggi istituite da Napolitano nel pieno della crisi istituzionale: la riforma delle istituzioni da un lato (legge elettorale, costi della politica, funzioni del senato) e le riforme economiche dall’altro, per permettere all’Italia, in piena recessione, di ricominciare a crescere e alle imprese di avere un maggiore accesso al credito.

(Philippe Ridet, Le Monde, Francia)


Fonte: Internazionale 3/9 maggio 2013, N°998

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