martedì 7 maggio 2013

L’Europa è rimasta senza lavoro (Dominique Berns, Le Soir, Belgio)


I disoccupati nell’Unione europea sono più di 26 milioni. Una cifra mai raggiunta prima d’ora. Se poi si tiene conto anche della sottoccupazione, il quadro si fa ancora più preoccupante.



In Europa la disoccupazione continua ad aumentare. Il 25 aprile l’Istituto nazionale di statistica spagnolo ha
annunciato di aver registrato a fine marzo 6,2 milioni di disoccupati, cioè quasi 240mila in più rispetto al trimestre precedente.
Questo significa che oggi il 27,16 per cento della popolazione attiva spagnola è disoccupato.
In Francia il numero di chi cerca lavoro a marzo ha raggiunto il massimo storico, con 3.224.600 persone iscritte alle liste di disoccupazione, ben oltre il precedente record del 1997.
Secondo le ultime cifre disponibili pubblicate da Eurostat, l’ufficio europeo di statistica, a febbraio erano disoccupati 26,3 milioni di europei, di cui 19,1 milioni nell’eurozona: il tasso di disoccupazione era del 10,9 nell’Unione e del 12 per cento nella zona euro. Tuttavia, tra il cuore dell’eurozona e la periferia ci sono differenze considerevoli: i disoccupati sono il 5,4 per cento della popolazione totale in Germania e l’8,1 in Belgio, ma il 14,2 per cento in Irlanda e il 26,4 per cento in Grecia. Queste cifre, però, sottovalutano le reali dimensioni della mancanza di lavoro e i danni sociali che l’accompagnano. 
In realtà dei dati sulla questione ci sono, ma se ne parla poco: si tratta dell’inchiesta sulla forza lavoro di cui Eurostat ha appena pubblicato i risultati per il 2012. Non avere un lavoro, cercarne attivamente uno e, in caso, essere immediatamente disponibile ad accettarlo. Se non si soddisfano queste tre condizioni non si è considerati disoccupati.

Esistono, tuttavia, persone che vorrebbero lavorare, che sono disponibili, ma che non cercano lavoro o – per essere più precisi – hanno smesso di cercarlo. Per diversi motivi: perché ritengono di non avere alcuna
possibilità di vedersi offrire un lavoro a causa dell’età, delle loro competenze o, più in generale, per colpa della difficile situazione economica. Questi “lavoratori scoraggiati” sarebbero sicuramente attivi se i posti di lavoro fossero più numerosi. Quanti sono? In Europa sono 8,8 milioni. Un numero consistente. Poi ci sono quelli che vorrebbero lavorare, ma che non sono subito disponibili quando viene fuori la possibilità di un impiego, sia per motivi familiari sia perché si trovano nel periodo che intercorre tra due contratti precari. Queste persone, che in Europa sono 2,3 milioni, non rimarrebbero di certo inattive se la congiuntura fosse migliore e se le offerte di lavoro fossero più numerose. Insieme ai “lavoratori scoraggiati” rappresentano una “potenziale forza lavoro supplementare”, spiega Eurostat.

Molti lavoratori part time non sono soddisfatti della loro situazione e vorrebbero lavorare di più. Ma non possono. In Europa il part time imposto e non scelto riguarda un lavoratore a orario ridotto su cinque. 
In Belgio uno su sette. La percentuale di lavoratori part time disponibile a lavorare di più è in aumento dall’inizio della crisi economica: è passata dal 18,5 per cento del 2008 al 21,4 per cento del 2012. Anche se non possono essere formalmente considerati disoccupati, questi lavoratori (e le loro famiglie) soffrono per la mancanza di lavoro. Nel 2012 Eurostat ne ha contati 9,2 milioni nell’Unione europea. 
Questi tre gruppi formano quello che l’istituto statistico ha opportunamente definito “un alone” intorno alla disoccupazione. Tenerne conto permette di ottenere “un’immagine più articolata e più chiara” del fenomeno della sottoccupazione.

Al numero dei disoccupati bisogna dunque aggiungere quello dei “part time forzati” e a “potenziale forza lavoro supplementare”, di cui fanno parte i “lavoratori scoraggia- ti”. Il risultato è che a soffrire per la mancanza di lavoro sono 45,4 milioni di europei, il 19 per cento della popolazione attiva: quasi il doppio rispetto al tasso di disoccupazione ufficiale. È un dato così grave che non viene reso pubblico, e nemmeno calcolato, da Eurostat.

Questa cifra non ha indubbiamente la precisione del tasso di disoccupazione. E comunque l’aggiunta al numero dei disoccupati ufficiali di altre categorie di lavoratori precari e in difficoltà deve essere fatta
e interpretata con prudenza. Tuttavia la sottoccupazione così stimata rende un’immagine piuttosto fedele della realtà. Per questo motivo negli Stati Uniti il Bureau of labour statistics pubblica ogni mese un indicatore simile, lo U-6 (dove la U sta per unemployment, disoccupazione). Secondo questo dato, a marzo la sottoccupazione interessava il 13,8 per cento della popolazione attiva statunitense.
Neanche il cuore dell’Unione europea sfugge a questo problema. Calcolare il tasso di sottoccupazione per paese serve a far luce su diversi aspetti del mondo del lavoro. Analizzando la sottoccupazione in Germania, la situazione del paese appare molto meno positiva di quello che si potrebbe credere: tra i tedeschi, infatti, il lavoro part time subìto occupa una larga fetta del mercato del lavoro. 
Lo stesso discorso vale per la Gran Bretagna, un altro paese dove il mercato del lavoro è molto flessibile. Nei Paesi Bassi, invece, l’esistenza di un numero relativamente consistente di “lavoratori scoraggiati” permette di ridurre il tasso di disoccupazione ufficiale. Come spesso succede, il Belgio condivide le caratteristiche dei suoi vicini tedesco e olandese: qui il 15 per cento dei lavoratori part time vorrebbe lavorare di più. Va ricordato che in Belgio i lavori part time sono un quarto del totale.


Ma è soprattutto alla periferia dell’Europa, e in particolare al sud, che la situazione è più drammatica. In Irlanda, il paese che la Commissione europea si ostina a considerare un modello di successo dei programmi
di austerità, la sottoccupazione riguarda il 23 per cento della popolazione attiva. E la percentuale sarebbe ancora più alta senza l’emigrazione: nel 2012 hanno lasciato il paese 34mila persone, la cifra più alta degli ultimi vent’anni.
In Italia c’è una percentuale molto rilevante di “lavoratori scoraggiati”, un fenomeno che probabilmente ha un carattere strutturale, visto che tra l’introduzione dell’euro e la crisi del 2008 l’Italia ha avuto uno dei più bassi tassi di crescita dell’eurozona.
Per quanto riguarda la Grecia e la Spagna le cifre sono ancora più preoccupanti. Con dei livelli di sottoccupazione e disoccupazione così elevati è in pericolo la tenuta stessa del tessuto sociale. Inoltre, va sottolineato che nel 2012 la popolazione spagnola si è ridotta a causa di un consistente lusso migratorio.
La situazione migliorerà nel prossimo futuro? Assolutamente no. Considerato che nel 2013 l’economia europea sarà ancora in stagnazione e che l’eurozona registrerà un secondo anno di recessione, la sottoccupazione continuerà a crescere. E se anche ci sarà la timida ripresa promessa per il 2014, non sarà certo in grado di invertire la tendenza. Viene da chiedersi se non sia il momento di mettere in discussione la strategia del rigore (quasi) assoluto adottata finora.

(Dominique Berns, Le Soir, Belgio)



Fonte: Internazionale 3/9 maggio 2013, N°998

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