martedì 21 maggio 2013

Il Pakistan supera la prova di maturità (The Economist, Regno Unito)



Dopo una campagna elettorale insanguinata, l’affluenza alle urne è stata alta. Un dato positivo da cui partire per risanare un paese segnato da violenza, crisi economica e corruzione.



La notte del 12 maggio caroselli d’auto festeggiavano per le strade di Lahore la vittoria di Nawaz Sharif, già due volte primo ministro negli anni novanta, che si è aggiudicato il terzo mandato. La sua Lega musulmana pachistana ha vinto in maniera netta le elezioni nazionali e provinciali, mancando per poco la maggioranza assoluta. Ma visto che concorrevano anche vari partiti minori e candidati indipendenti, è un ottimo risultato. In parte era previsto, anche se la popolarità dell’ex campione di cricket Imran Khan aveva fatto pensare a un vantaggio del suo partito, il Pti, e alla conseguente frammentazione in parlamento. La giornata dell’11 maggio è stata il più grande successo elettorale della recente storia pachistana, nonostante le violenze che l’hanno segnata: il giorno del voto sono morte cinquanta persone ma, vista la minaccia dei taliban di mandare kamikaze ai seggi, sarebbe potuta andare peggio. Nonostante le intimidazioni, la partecipazione al voto è stata intorno al 60 per cento, contro il 44 per cento del 2008, segno dell’entusiasmo dei pachistani per la democrazia e della scomparsa di nomi fantasma dalle liste elettorali. Un aspetto decisivo è stato il basso profilo tenuto dai militari ai seggi.
Il successo relativo del Pti spiega da un lato la frattura generazionale – molti giovani pachistani l’hanno votato – e dall’altro la scarsa organizzazione del partito. eppure la piccola formazione politica oggi è la principale
forza di opposizione. Se sarà capace di tenere vivo il messaggio anticorruzione, tra cinque anni potrebbe guidare il paese.
Come previsto, il grande perdente è stato il partito di governo, il Partito popolare pachistano (Ppp). Per una forza politica che ha governato in anni segnati dalla corruzione dilagante, da una pessima gestione economica e dalla violenza crescente, è un risultato che non sorprende.

La vittoria di Sharif è netta, ma lo aspettano enormi difficoltà. La prima è il risentimento che nei prossimi anni potrebbe montare nella provincia più ricca e più estesa, il Punjab.
La lega musulmana qui ha vinto ma le altre tre province hanno maggioranze diverse che potranno ostacolare l’azione del governo centrale. La seconda preoccupazione riguarda il rapporto con l’esercito.
Nel 1999 Sharif fu deposto da un golpe dopo una clamorosa vittoria elettorale, in parte truccata. La sua capacità di gestire il rapporto con i militari oggi sarà cruciale per la stabilità del paese. In pochi si aspettano un confronto a muso duro, ma se Sharif dovesse perdere la sua autorità morale – all’epoca era oggetto di credibili sospetti di corruzione – l’esercito e i tribunali potranno colpirlo.
Vedremo poi se Sharif continuerà la sua campagna contro l’esercito, che lui accusa di combattere la “guerra americana” sul suolo pachistano. Ma la questione più importante riguarda l’economia.
La crescita del pil è bloccata. Il governo del Ppp ha cercato di ridurre la povertà fissando dei prezzi alti per i prodotti dei contadini e creando un sussidio per i poveri, e ha sovvenzionato anche alcune risorse energetiche, come il gas naturale. Ma ha trascurato settori dinamici dell’economia, come il tessile colpito dalla mancanza di forniture elettriche costanti. 
Sharif, inoltre, dovrà negoziare un nuovo prestito con il Fondo monetario internazionale e questo implicherà un aumento della pressione fiscale e altre riforme. Misure che richiederanno capacità di governo e una squadra di consiglieri di prim’ordine. Sharif è favorevole a una maggiore apertura al commercio globale, a migliori relazioni con l’India e a investimenti nelle infrastrutture. Dopo anni di annunci di bancarotta nazionale,
potrebbe avviare la ripresa economica. e magari seguire alcune delle buone idee dall’avversario Khan, come far pagare le tasse ai politici e combattere la corruzione. Già questa sarebbe una svolta. 

(The Economist, Regno Unito)

Fonte: Internazionale 15/23 maggio 2013, N° 1000



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