venerdì 24 maggio 2013

Il petrolio siriano è un’arma di guerra (Borger e Mahmood, The Guardian, Regno Unito)



Nel nord della Siria si è allentata la pressione militare sulle forze di Bashar al Assad. Perché i ribelli hanno messo le mani sui pozzi e hanno ripreso il commercio di greggio.



La decisione dell’Unione europea di cancellare in parte l’embargo sul petrolio siriano per aiutare l’opposizione ha scatenato una forte competizione per il controllo dei pozzi e degli oleodotti nelle zone controllate dai ribelli. Inoltre ha permesso ai gruppi jihadisti di raforzare il loro dominio sulle risorse siriane. 
Il Fronte al nusra, una milizia affiliata ad Al Qaeda, ha preso il controllo della maggior parte dei pozzi nella provincia di Deir Ezzor, costringendo le tribù sunnite della zona a fuggire. Il gruppo ha anche sottratto altri campi petroliferi ai curdi del governatorato di Al Hasaka.
Mentre i gruppi dell’opposizione si scontrano nella lotta per il petrolio, l’acqua e i terreni agricoli, si è attenuata la pressione militare sulle forze del presidente siriano Bashar al Assad nel nord e nell’est del paese. In alcune aree il Fronte al nusra ha stretto accordi con le forze governative per trasportare il greggio oltre le linee nemiche fino alla costa del mar Mediterraneo.
Nelle province di Deir Ezzor e di Raqqa sono nate delle raffinerie all’aria aperta. Il petrolio è conservato in fossi e riscaldato in contenitori metallici su fuochi di legna.
L’aria, densa di un fumo nero, espone la popolazione locale ai pericoli dell’inquinamento e delle frequenti esplosioni che si verificano in questi impianti improvvisati. Petrolio, gasolio e benzina sono venduti in tutto il nord, fino ad Aleppo. Il greggio restante è spedito in Turchia a bordo di camion.
Un leader dell’opposizione siriana ha dichiarato: “Il fronte settentrionale non si è placato: si è messo in affari”.
L’Unione europea ha annunciato ad aprile di voler alleggerire l’embargo petrolifero per aiutare l’opposizione moderata. L’annuncio non si è ancora tradotto in realtà, ma la corsa al petrolio è già partita. E i combattenti islamici moderati, appoggiati dall’occidente, l’hanno già persa. “Chi riesce a mettere le mani sul petrolio, l’acqua e l’agricoltura tiene in pugno la Siria sunnita. Al momento è il Fronte al nusra”, spiega Joshua Landis, un esperto di Siria dell’Università dell’Oklahoma. “Sbloccando il mercato del greggio, l’Europa ha fatto emergere la questione con forza”.

“Il Fronte al nusra sta investendo nell’economia siriana per raforzare la sua posizione sia in Siria sia in Iraq. I suoi uomini vendono tutto quello su cui riescono a mettere le mani, dal grano ai reperti archeologici, dalle apparecchiature industriali ai pezzi di ricambio delle auto”, denuncia Abu Saif, un miliziano di un battaglione legato ai Fratelli musulmani, attivo a Deir Ezzor. “Il regime siriano paga il Fronte al nusra per garantire che il petrolio continui a scorrere nei due principali oleodotti di Baniyas e Lattakia. Lo fanno con l’aiuto di mediatori che godono della fiducia di entrambe le parti”.
Secondo un ex dirigente di un’azienda petrolifera siriana, i gruppi jihadisti stanno usando buona parte dei guadagni per ingraziarsi gli abitanti delle zone che occupano, come la città di Raqqa: “Si importa farina, si riparano i forni. La comunità locale accoglie i nuovi arrivati a braccia aperte. È una propaganda molto efficace”.

Da sapere:

-Dal 19 maggio l’esercito siriano, sostenuto dai combattenti libanesi di Hezbollah, ha lanciato una grande offensiva su Qusayr, una città sul confine libanese che era controllata dall’opposizione da più di un anno. I morti sono un centinaio, tra cui numerosi civili e uomini di Hezbollah.
-Il 21 maggio sulle alture del Golan i soldati israeliani e siriani si sono affrontati con colpi di arma da fuoco e di artiglieria. Israele ha avvertito il regime di Damasco che “subirà delle conseguenze” se i suoi militari apriranno di nuovo il fuoco.




(Borger e Mahmood, The Guardian, Regno Unito)


Fonte: Internazionale 24/30 maggio 2013, N°1001

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