sabato 5 gennaio 2013

La tensione tra Mosca e Washington è ai livelli di guardia (The Moscow Times)




Sergej Magnitskij era un avvocato russo che lavorava per la hermitage Capital Management, un fondo di investimenti britannico attivo in Russia. Dopo aver denunciato una truffa organizzata con la copertura di alcuni funzionari della polizia ai danni della hermitage, nel novembre 2008 è stato arrestato con l’accusa di frode fiscale. Il 16 novembre 2009, ancora in custodia cautelare, è morto per un arresto cardiaco legato a una pancreatite non curata. Secondo l’ong Moscow helsinki Group in carcere Magnitskij sarebbe stato torturato. La sua morte ha suscitato sdegno e critiche a livello internazionale. nel giugno del 2012 il congresso statunitense ha approvato una legge, il cosiddetto Magnitskij bill, con cui si vieta a un gruppo di sessanta funzionari russi coinvolti nella morte dell’avvocato di entrare negli Stati Uniti e
servirsi del sistema bancario americano. 
La legge è stata approvata dal senato il 6 dicembre e firmata dal presidente Obama il 14. Mosca ha reagito definendola un “atto ostile” e mettendo in cantiere ritorsioni dello stesso tenore.


La cosa migliore che le autorità avrebbero potuto fare per evitare questa situazione sarebbe stata condurre un’inchiesta seria sulla morte di Magnitskij. Se anche solo alcune delle figure coinvolte fossero state oggetto di indagini adeguate e tempestive, la Russia avrebbe evitato l’approvazione della legge Magnitskij, facendo anche capire ai suoi funzionari che non possono compromettere gli interessi nazionali e macchiare la reputazione del paese con le loro azioni. Ma il Cremlino si è messo in un angolo con le proprie mani. E intervenire ora sembrerebbe un cedimento alle pressioni degli Stati Uniti. La reazione di Mosca mette in evidenza
una delle sue maggiori debolezze: un radicato senso di insicurezza. 
Bisogna essere convinti delle proprie posizioni per accettare le critiche. La Russia ha ragione a insistere ainché gli Stati Uniti e l’Europa rispettino la sua dignità, ma questo non vuol dire che il paese può ignorare i suoi obblighi, in particolare quelli stabiliti dalle convenzioni internazionali sulla corruzione, i diritti umani e il riciclaggio di denaro.
Il Cremlino, però, su un aspetto ha ragione: la legge Magnitskij costituisce un’ingerenza
controproducente negli affari interni del paese, e gli Stati Uniti appaiono mossi dall’intenzione di umiliare pubblicamente la Russia, che difficilmente poteva rimanere in silenzio di fronte a questa provocazione.
A questo punto il Cremlino dovrebbe tenere una posizione critica ma con toni diplomatici e moderati. Può insistere sui princìpi della giurisprudenza e del mutuo rispetto internazionale. Ma la retorica isterica e l’aggressività avranno efetti opposti a quelli sperati. 
Il Cremlino può anche essere convinto della necessità di adottare una posizione che soddisfi l’opinione pubblica interna, ma i costi di una scelta simile
possono essere maggiori dei suoi benefici.
Un’indagine approfondita sulla morte di Magnitskij è l’unica reale soluzione al problema.
Ed è anche la migliore linea da seguire per gli interessi a lungo termine del paese e la sua reputazione globale.



(Mark Nuckols, The Moscow Times, Russia)

Fonte: Internazionale, 21/27 dicembre, N°980

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