sabato 12 gennaio 2013

Campi di lavoro cinesi (South China Morning Post, Hong Kong)




Definire la rieducazione per mezzo del lavoro un oltraggio allo stato di diritto è un eufemismo. In realtà è una grottesca perversione dello stato di diritto, usata dalla polizia cinese perino per rinchiudere imputati giudicati innocenti dai tribunali.
Le pressioni a favore dell’abolizione dei campi di lavoro, esercitate da anni all’estero e all’interno della Cina, non hanno impedito abusi ancor più scandalosi ai danni di piccoli delinquenti, oppositori e di cittadini che hanno osato presentare petizioni di protesta.
Nessuno quindi era preparato al recente annuncio fatto alla conferenza nazionale sull’ordine pubblico di Pechino: il sistema dei campi di rieducazione per mezzo del lavoro, nato cinquantacinque anni fa con Mao Zedong, sarà presto abolito.
È una svolta signiicativa, che arriva a meno di due mesi dalla nomina di Xi Jinping a segretario generale del Partito comunista cinese e dal suo impegno a difendere lo stato di diritto e ad arginare gli abusi di potere. 
La cronaca della conferenza, pubblicata dall’agenzia di stampa governativa Xinhua, annuncia riforme in quattro settori: i campi di lavoro, il sistema delle petizioni, i poteri dell’apparato giudiziario e la hukou, cioè la legge sulla registrazione dei nuclei familiari, che oggi nega i diritti sociali ai migranti rurali, ed è quindi il più grande ostacolo alla modernizzazione nel più vasto fenomeno d’inurbamento della storia. 
Il messaggio è chiaro: la nuova dirigenza cinese vuole promuovere lo stato di diritto. Oggi le autorità comunali o provinciali possono far rinchiudere un cittadino in un campo di lavoro per un massimo di quattro anni senza processo. E usano quest’arma anche contro i militanti delle organizzazioni di difesa dei diritti umani, non solo contro i dissidenti.
La fine di questo sistema, e non solo la sua riforma, sarà una bella notizia… se si realizzerà. Per Xi Jinping sarà un test politico, perché comporta mettersi contro certi interessi locali. Alcuni osservatori hanno sottolineato che il termine ufficiale usato è stato “sospendere” e non “abolire”. Restano le dichiarazioni del segretario del partito, Xi Jinping, secondo cui debellare la corruzione dei funzionari è una delle sue massime priorità. 
Un buon punto di partenza sono proprio le azioni illegali commesse dai tutori dell’ordine.


Fonte: Internazionale N°982, 11/17 gennaio

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