venerdì 7 dicembre 2012

Palestina-Israele: un conflitto squilibrato (Al Jazeera English)




I giornalisti si sforzano di apparire neutrali, ma a farne le spese è la verità.
Parla una reporter di Al Jazeera.


E' incredibile osservare le centinaia di giornalisti stranieri e locali che raccontano questa guerra.
Nel 2008 Israele e l’Egitto chiusero le frontiere e confinarono i giornalisti ai margini del conflitto che si svolgeva nella Striscia di Gaza.
In questi giorni Gaza è sotto i riflettori. 
Il problema principale dei giornalisti che devono raccontare cosa succede qui è lo sbilanciamento del conflitto: non ci sono paragoni tra Israele e Gaza, tra i combattenti
palestinesi e l’esercito israeliano, tra i razzi e i missili. Ci insegnano a essere neutrali, imparziali, equilibrati. Ma questo non è un conflitto equilibrato e, nel tentativo di appianare le differenze, alcuni finiscono per raccontare una storia sbagliata o incompleta.
Questa settimana una giornalista televisiva che rispetto e ammiro si è rivolta al collega in studio parlando dell’“assedio israeliano di Gaza, come lo chiamano i palestinesi”. Era nel centro di Gaza mentre le forze di terra di Israele circondavano la Striscia, le navi da guerra accerchiavano la costa e i droni e gli F16 pattugliavano i cieli. Se mai c’era stato un momento in cui si poteva dire che Gaza era sotto assedio, era quello. Eppure il bisogno di apparire equilibrata le ha impedito di dire la verità.
Di fronte al conflitto arabo-israeliano, i mezzi d’informazione si sentono obbligati a neutralizzare gli avvenimenti per non suscitare polemiche o urtare sensibilità, a disumanizzare gli eventi per paura di mostrare compassione o, peggio ancora, simpatia verso i palestinesi, che equivarrebbe a un suicidio professionale. Ma
evitare di esporsi e di dire le cose come stanno è un tradimento della verità e del giornalismo.
Ecco alcuni fatti fondamentali che spesso sono omessi dai giornalisti. Hamas non è Gaza: a Gaza vivono più di un milione e mezzo di palestinesi e alcuni abitanti della Striscia non si interessano di politica.
Gaza è una società, non un rifugio di terroristi. Le parole Gaza e Hamas non sono intercambiabili. Hamas governa Gaza, ma non ci sono scuole, caserme o ministeri di Hamas. Sono deinizioni usate da Israele per giustificare gli attacchi.
Il problema più pericoloso per il giornalismo di questi tempi è il concetto di bersaglio legittimo. Una casa in cui vivono dieci persone compresi bambini, donne e anziani viene colpita da un missile. 
All’inizio c’è una reazione indignata, ma poi l’esercito israeliano rende noto che l’obiettivo era un “esponente di Hamas”. Di colpo la notizia è raccontata in un altro modo. Il particolare dell’esponente di Hamas è incluso in tutti i servizi senza discutere né contestualizzare: ora è tutto a posto, perché prima l’avvenimento era troppo sbilanciato.
La mancanza di contesto è determinante. I razzi di Hamas non sono una reazione all’ultimo missile caduto, ma a sei anni di assedi, assassini e segregazione. I missili di Israele non sono una risposta ai razzi sparati oggi su Ashkelon, ma agli anni di razzi lanciati contro le comunità del sud del paese. A innescare questa guerra non è stato un omicidio: lo scoppio del conflitto era prevedibile almeno da due
anni e mezzo. Quel che in fondo c’è da chiedersi è quando finirà tutto questo. La risposta più semplice è che presto ci sarà una tregua: come in tutte le altre guerre israeliane, ci sarà quando Israele riterrà di aver portato a termine la missione e aver punito abbastanza Gaza. E in questo caso voglio dire proprio Gaza.

(Sherine Tadros è la corrispondente di Al Jazeera English dal Medio Oriente.)

Fonte: Internazionale N°976, 23/29 novembre 2012

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