lunedì 19 novembre 2012

Gli orfani di Silvio Berlusconi (Le Monde)




E' passato un anno da quando Silvio Berlusconi ha messo ine al suo governo dopo aver perso credibilità
per non aver saputo affrontare la crisi ed essere stato ridicolizzato da una serie di scandali pubblici e privati.

Quel giorno sono finiti vent’anni di dominio politico su una destra italiana – dagli orfani della Democrazia cristiana ai
postfascisti di Alleanza nazionale, fino agli xenofobi della Lega nord – che Berlusconi ha saputo unire grazie al suo carisma, alla sua abilità e a mezzi finanziari quasi illimitati.
Di questo insieme eterogeneo e vittorioso, oggi restano solo le macerie, mentre si avvicinano le elezioni politiche del prossimo aprile, quando il paese sarà chiamato a eleggere il successore di Mario Monti.
Secondo i sondaggi, il Popolo della libertà (Pdl), il partito fondato da Berlusconi nel marzo del 2009, oggi raccoglierebbe circa il 17 per cento dei voti, mentre in passato ha sfiorato il 40 per cento. Le elezioni del 28 ottobre scorso in Sicilia, che hanno visto la vittoria del candidato del centrosinistra Rosario Crocetta, hanno ancora una volta dimostrato il declino della destra. Futuro e libertà per l’Italia (Fli), il partito fondato da Gianfranco Fini dopo la sua spettacolare rottura con il Cavaliere nel luglio del 2010, arriva a malapena al 3 per cento, mentre aspirava a incarnare una destra moderna, liberale e laica.
I centristi dell’Unione di centro (Udc), che si ritengono i rappresentanti “dell’anima italiana (moderata, cattolica e disponibile al compromesso), rappresentano il 7 per cento degli elettori. A quanto pare la loro strategia di alleanze variabili a seconda dei casi (a destra o a sinistra) non ha sedotto gli italiani.

 La Lega nord, infine, ha dovuto rivedere i sogni di espansione elettorale a sud del Po ed è impegnata a conservare le sue ultime roccaforti nel settentrione. 
La Lega raccoglie oggi solo l’8 per cento dei consensi, contro il 13 per cento ottenuto alle elezioni regionali dell’aprile del 2010, nel momento di massima espansione del partito.
La destra italiana postberlusconiana soffre dell’assenza di un leader.

Di chi è la colpa? Innanzitutto dello stesso Berlusconi. In Italia, come in altri paesi, i leader politici pensano raramente alla loro successione, se non per affrettarsi a “eliminare” il deflino che hanno designato. Di
volta in volta Fini, il leader dei centristi Pierferdinando Casini, Umberto Bossi e più di recente Angelino Alfano, a cui Berlusconi ha affidato la gestione del Pdl, hanno tutti creduto di poter conquistare questa eredità politica. Ma il Cavaliere ha inito per fargli perdere la pazienza e ognuno di loro ha preferito coltivare i suoi elettori invece
di aspettare una successione rimandata continuamente.
Oggi nessuno dei suoi uomini ha un’influenza tale da poter riempire il vuoto lasciato e unificare lo schieramento di centrodestra. Inoltre molti di loro non sono stati risparmiati dalla stagione degli scandali che ha portato alle dimissioni di Berlusconi. 
Due tra i principali protagonisti della destra italiana sono stati travolti da vicende politico-finanziarie da cui non sembrano più in grado di riprendersi. Il caso più eclatante è quello di Bossi, che ha dovuto abbandonare ogni responsabilità operativa nella Lega nord dopo che nella primavera del 2011 un’inchiesta giudiziaria ha rivelato l’uso a fini privati di fondi pubblici destinati al partito. 
Nel frattempo Fini continua a essere coinvolto in un’oscura vicenda di un appartamento a Montecarlo, ufficialmente

di proprietà di Alleanza nazionale, il suo ex partito, ma che in realtà apparterrebbe al cognato. Recenti rivelazioni sul caso hanno aggravato la posizione del leader di Fli. 
Per quanto riguarda il Pdl, la situazione non è molto migliore. Gli scandali a ripetizione nelle regioni governate da
questo partito (in particolare il Lazio e la Lombardia) hanno messo in luce dei sistemi consolidati di clientelismo, corruzione e arricchimento personale. Ma anche ipotizzando che questi partiti riescano a mettersi d’accordo, resta il problema di sapere se avranno un obiettivo comune. Il berlusconismo di cui sono stati gli interpreti non è un’ideologia, al massimo è un modo per conservare il potere sostenendo i presunti interessi dell’italiano
medio. 
Il berlusconismo è Berlusconi e basta. Liberale agli esordi, cattolico per necessità, in un paese dove la chiesa ha sempre voce in capitolo, atlantista ed europeista per tradizione, ma vicino ai poteri forti dell’est (Russia e Bielorussia) e del Maghreb (Libia) per interessi energetici, Berlusconi ha continuato a strumentalizzare il dibattito politico. Durante il suo ultimo mandato – e anche dopo – si è fatto notare per le sue proposte di rilancio della spesa pubblica (mentre il debito del paese raggiungeva i duemila miliardi di euro) e per le critiche alla moneta unica. In questo insieme di contraddizioni è difficile trovare un ilo conduttore capace di permettere la costruzione di una nuova coalizione elettorale della destra.

Di fronte a queste macerie, Berlusconi ha creduto a lungo di poter essere l’uomo in grado di fare tabula rasa per ricominciare da capo. L’abitudine ai voltafaccia repentini, l’instancabile fiducia in se stesso e la debolezza degli avversari hanno rafforzato questa convinzione. Per un anno ha creduto di essere la soluzione per l’Italia dopo
che il governo Monti avrà allontanato gli italiani dal piacere masochistico dell’austerità.
Per un anno ha esplorato tutte le soluzioni: nuovo partito, nuovo nome, nuove alleanze. Profondo conoscitore delle
tecniche di marketing, l’ex presidente del consiglio ha fatto testare in tutta Italia il
“marchio Berlusconi”, fino a quando i risultati di queste ricerche e una condanna a quattro anni di prigione per frode fiscale hanno infranto il suo sogno. Si è arrivati alla fine di questa agonia politica: a 76 anni Berlusconi non guiderà il suo schieramento la prossima primavera.
Ma allora chi lo farà? La diserzione del capo storico prelude a una ricomposizione generale della destra e del centro. Privo del sostegno finanziario del suo fondatore, il Pdl deve procedere alla “deberlusconizzazione” per ritrovare la fiducia di elettori stanchi di scandali a ripetizione. Le elezioni primarie, previste a dicembre, dovranno indicare un nuovo leader.
La Lega nord, che ha affidato il suo destino all’ex ministro dell’interno Roberto Maroni, ha in parte rotto con il suo folclore (camicie verdi e rituali pagani) per far meglio dimenticare la fine del regno di Bossi e presentarsi come un partito di governo. 
Fini cerca di uscire dal suo splendido isolamento, che gli ha permesso di costruirsi una buona immagine personale, ma con mediocri risultati elettorali.
L’Udc, infine, moltiplica i contatti con le organizzazioni cattoliche per far emergere “il partito moderato” di cui vorrebbe essere l’espressione politica. Intanto Berlusconi ha deciso di gettare la spugna, e di fatto questo disastro
è la sua rivincita.



Riassunto tratto da un articolo di Philippe Ridet (Le Monde)

Fonte: Internazionale N°975, 16/22 novembre 2012

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