martedì 18 dicembre 2012

Berlino vende armi a tutto il mondo (Der Spiegel)




La Germania ha sempre avuto politiche restrittive sull’esportazione di armi. 
Con Angela Merkel la situazione è cambiata. 
Oggi il paese fa affari con i regimi autoritari



Non è chiaro cosa piaccia agli arabi del nuovo carro armato da guerra Leopard 2. 
La sua affidabile canna liscia da 120 mm, che resta issa sul bersaglio anche quando il mastodonte da 68 tonnellate si sposta ad alta velocità nel deserto?
O i “generatori aggiuntivi dalla potenza maggiorata per le operazioni di check point”? 
Di sicuro gli esperti di armi in Arabia Saudita e in Qatar apprezzano il fatto che il nuovo Leopard abbia l’aria condizionata. Chi vorrebbe vedere i suoi soldati arrostirsi in mezzo al deserto, dove le temperature estive possono superare i 50 gradi?
A luglio l’azienda produttrice Krauss-Mafei Wegmann, di Monaco, ha inviato una delle sue armi miracolose nel deserto saudita per collaudare il Leopard 2 in condizioni estreme. 
Il ministro della difesa tedesco ha mandato sul campo un funzionario della bundeswehr, le forze armate, perché garantisse la sicurezza durante il collaudo del cannone in dotazione al carro armato.
Il successo del collaudo in pieno deserto non è passato inosservato. Il governo del Qatar vuole acquistare duecento carri armati,un affare che potrebbe fruttare fino a due miliardi di euro. 
I sauditi sono già dei  clienti affezionati. L’estate scorsa il governo tedesco ha risposto positivamente alla loro richiesta di acquistare 270 carri armati Leopard 2. Ma oggi Riyad vuole di più. Gli sceicchi hanno chiesto l’approvazione del governo tedesco per l’acquisto di qualche centinaio di mezzi di trasporto corazzati Boxer.

A fine novembre il consiglio di sicurezza federale della Germania ha preso in considerazione la richiesta. Il governo non ha ancora deciso nulla su questo affare, che potrebbe valere miliardi di euro. Le armi hi-tech tedesche sono molto richieste dai potentati arabi e da altri regimi autoritari, da quando si sono resi conto che il governo di coalizione tra i cristianodemocratici della cancelliera Angela Merkel e il Partito liberaldemocratico (Fdp) ha allentato i vincoli imposti in precedenza all’esportazione delle armi.
L’ultimo rapporto ufficiale sulle esportazioni degli equipaggiamenti militari, pubblicato nel  2011, mostra un mercato in pieno boom grazie ai permessi per le esportazioni rilasciati dal governo, per la prima volta superiori a dieci miliardi di euro. 
Il 42 per cento di queste armi è destinato ai cosiddetti paesi terzi, fuori della Nato o dell’Unione europea.  Nel 2010 la cifra non superava il 29 per cento. 

I numeri indicano che la dottrina Merkel comincia ad avere i suoi effetti. Secondo la cancelliera, solo in casi di estrema emergenza la Germania può inviare truppe nelle zone di conflitto. Bisogna rafforzare i “paesi partner” nelle aree di conlitto attraverso l’esportazione di armi, mettendoli in condizione di mantenere da soli la pace e la sicurezza. È una strategia rischiosa e una presa di distanza dalla tradizionale politica estera tedesca. “Anche con il senno di poi, le restrizioni imposte da Berlino alle sue politiche di esportazione di armamenti si sono rivelate l’approccio più giusto, e non dovremmo abbandonarle”, sostiene Hans-Dietrich Genscher (Fdp), che è stato a lungo ministro degli esteri.

Le armi più costose spesso continuano a essere usate per decenni. Il Leopard 2 è stato creato negli anni settanta e le sue prime versioni sono ancora in uso in molti paesi. Il rischio che questi armamenti possano finire nelle mani sbagliate è alto: la primavera araba ha dimostrato l’instabilità di molti regimi.
Però la cancelliera tedesca, che sostiene 
di fondare la sua politica sui valori della democrazia, acconsente a vendere le armi a regimi che non rispettano i diritti umani.
L’organismo al cui interno emergono queste contraddizioni è il consiglio di sicurezza federale, che s’incontra in segreto e a intervalli irregolari nella piccola sala conferenze della cancelleria. Il 26 novembre 2012 Merkel ha aperto uno di questi incontri. 
Il ministro degli esteri, Guido Westerwelle, e il ministro dello sviluppo, Dirk Niebel, hanno fatto un resoconto della situazione in Mali, il paese dell’Africa occidentale spaccato a metà dopo il colpo di stato organizzato dai militari la scorsa primavera.
Poi è venuto il turno di Gerhard Schindler, presidente del Bundesnachrichtendienst (Bnd), l’agenzia d’intelligence per l’estero, che ha tirato fuori una cartellina piena di diapositive e cartine. Secondo Schindler, la situazione in Mali è difficile: molti soldati leali al governo
hanno disertato e l’esercito è incapace di opporsi agli islamisti che controllano il nord del paese.
“Il Mali settentrionale sta diventando un’area ospitale per il terrorismo”. Al termine della presentazione di Schindler, sembra che la cancelliera abbia esclamato: “Che posto di merda”.
Dopo aver discusso il primo punto all’ordine del giorno, il presidente del Bnd e il coordinatore dei rapporti tra la cancelleria e i servizi lasciano sempre la sala. Quando arriva il momento di parlare degli accordi per l’esportazione di armi, la cancelliera e gli altri otto membri permanenti del governo (i ministri degli esteri, delle inanze, della difesa, dell’economia, dell’interno, dello sviluppo e della giustizia, più il capo dello staff di Angela Merkel) preferiscono escludere gli altri funzionari dalle discussioni. 
Le bozze contengono informazioni di massima sugli accordi che sono stati approvati o su quelli respinti. Il 26 novembre si è parlato di Medio Oriente. Proteggere la sicurezza di Israele è “parte della ragion d’essere del mio paese”, aveva dichiarato Merkel nel marzo del 2008. “Da cancelliera tedesca posso dire che la sicurezza di Israele non sarà mai oggetto
di negoziati”, aveva aggiunto. Il risultato parziale di queste dichiarazioni è che
Israele ottiene dalla Germania sottomarini nucleari e qualsiasi altra arma desideri. 
Questa volta Israele vuole i lanciagranate e le armi anticorazza più moderne della
Dynamit Nobel Defence, che ha i suoi impianti vicino a Siegen. 
Nei messaggi pubblicitari l’azienda sottolinea che i suoi lanciarazzi possono essere usati a distanza ravvicinata e in spazi ridotti, due qualità per l’impiego contro Hamas nella
Striscia di Gaza. Le richieste di Israele erano nell’agenda del consiglio di sicurezza federale già a giugno. Ma in quell’occasione il ministro degli esteri e il ministro per la cooperazione economica e lo sviluppo avevano espresso dei dubbi sull’opportunità di esportare delle armi per la guerra urbana in una zona a rischio di combattimenti.
Il 26 novembre 
Merkel e i suoi ministri hanno approvato la richiesta di Tel Aviv. 
La Germania deve sostenere Israele “ora più che mai”, ha spiegato uno dei ministri, perché Hamas è una minaccia seria.
La seconda richiesta era più delicata. I sauditi vogliono comprare i mezzi di trasporto
corazzati Boxer, coprodotti dalla Krauss-Mafei Wegmann. Il Boxer è uno dei veicoli da guerra più moderni del mondo. Può essere dotato di una stazione per armi telecomandate o trasformato in una sala operatoria mobile. La bundeswehr usa il Boxer in Afghanistan per il trasporto delle truppe. Ai sauditi serve per la guardia reale, che protegge la monarchia. I tre battaglioni di fanteria che compongono la guardia reale sono equipaggiati con armi leggere e veicoli corazzati. Con l’aggiunta dei Boxer, la guardia avrebbe a disposizione i migliori veicoli sul mercato.
I Boxer sono adatti anche a reprimere eventuali rivolte, grazie ai pneumatici che ne rendono possibile l’uso su strada. Se la primavera araba arrivasse in Arabia Saudita, la guardia reale sarebbe quasi sicuramente coinvolta. 
In uno scenario simile, le unità fedeli alla monarchia potrebbero scontrarsi con i manifestanti usando i carri armati di Berlino.

L’affare dei Boxer può essere redditizio per l’industria bellica tedesca, ma le aziende interessate dovranno aspettare: Angela Merkel e i suoi ministri non hanno preso nessuna decisione, rinviando tutto al 2013.
Oltre all’Arabia Saudita, gli altri grandi importatori di armi dalla Germania sono gli Emirati Arabi Uniti (Eau). 
Negli ultimi tre anni il governo di Angela Merkel ha approvato la vendita di armi agli Eau per un valore di 1,2 miliardi di euro. L’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar non sono gli unici beneiciari del cambiamento di rotta a Berlino. Anche se il governo non ha ancora diffuso i dati ufficiali, le garanzie approvate nel 2012 dall’agenzia di credito all’esportazione Hermes per sostenere gli accordi sull’esportazione di armi sono un buon indicatore della forza del settore. A fine novembre erano stateemesse sei garanzie, per un totale di 3,3 miliardi di euro. Inoltre queste garanzie sono state emesse per gli accordi stipulati con paesi situati in zone calde del mondo. 
Il principale destinatario è l’Algeria, seguita dall’Egitto, da Israele, dall’Indonesia, dall’Iraq e dal Pakistan. Le garanzie emesse per l’Egitto (700 milioni di euro) e per Israele (405 milioni di euro) sono delicate: in entrambi i casi dovrebbero proteggere l’acquisto di sottomarini costruiti dalla Hdw nella città di Kiel. 
sottomarini destinati all’Egitto, che non sono così sofisticati come quelli per Israele,
hanno innescato un conflitto tra la cancelliera tedesca e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, intenzionato a bloccare l’acquisto egiziano. 
La questione non è stata ancora risolta, ma il presidente egiziano, Mohammed Morsi, potrebbe ricevere presto due sottomarini nuovi di zecca.
Il caso egiziano dimostra che la dottrina Merkel è un programma su vasta scala per sostenere l’industria bellica nazionale. I paesi occidentali stanno riducendo le spese militari e anche le forze armate hanno dovuto fare dei tagli.
All’industria bellica tedesca, che impiega circa ottantamila persone, restano due possibilità: ridimensionarsi adattandosi al declino nella domanda o sviluppare nuovi mercati. 
Questi nuovi mercati, però, coprono aree del pianeta dove dittatori combattono tra di loro, regimi d’ispirazione religiosa finanziano organizzazioni terroristiche e 26 Internazionale 979 | 14 dicembre 2012 autocrati usano la violenza per opprimere i loro popoli. 
I mercati che crescono più rapidamente si trovano in Medio Oriente e tra le economie emergenti del sudest asiatico e  dell’America Latina.
Se paragonata alla Francia o al Regno Unito, la Germania impone ancora dei vincoli alla promozione della sua industria bellica.
L’ex presidente francese Nicolas Sarkozy è stato un vero e proprio sostenitore dell’industria bellica nazionale. Aveva promesso all’India, potenza nucleare emergente, un accordo che prevedeva la vendita di tecnologia nucleare come bonus in cambio dell’acquisto di aerei da combattimento francesi. Adesso il governo di Angela Merkel sta allentando i suoi vincoli nel settore della vendita di armi: “In Germania aumenta il sostegno politico all’idea che la riduzione delle spese militari debba essere compensata con un aumento delle esportazioni
di armi”, ha dichiarato Mark Bromley, dello Stokholm international peace research
institute (Sipri). Merkel sfrutta anche i suoi viaggi all’estero. In Angola ha oferto al presidente José Eduardo dos Santos la possibilità di una collaborazione energetica, ma gli ha
fatto presente che molte piattaforme petrolifere offshore sono poco protette. “Vorremmo
aiutarvi nel settore della difesa, potenziando la vostra marina militare”, ha detto Merkel in una conferenza a Luanda. Si riferiva alla vendita di pattugliatori per la guardia costiera angolana, il cui costo varia dai 10 ai 25 milioni di euro. hanno partecipato alla Fiera internazionale della difesa (Idex) di Abu Dhabi nel 2011.

Una era guidata dal vice ispettore generale delle forze armate, l’altra dal capo del dipartimento per gli armamenti del ministero della difesa. L’evento è considerato l’appuntamento più importante per l’industria bellica. Il Rheinmetall group, una delle 66 aziende tedesche che partecipavano alla fiera, ha presentato il suo ultimo carro armato, definito la “rivoluzione dei carri armati da combattimento”.
Anche la bundeswehr sostiene l’industria bellica con gli equipaggiamenti in dismissione, soprattutto i Leopard 2. Prima ne aveva più di 2.100 unità, oggi ne ha venduti all’estero 1.233. Nel mondo post guerra fredda, alla Germania non servono più di 225 carri armati. Prima di impacchettarli e spedirli alle loro nuove destinazioni, i Leopard vengono rimessi a nuovo dalle aziende produttrici, che guadagnano più di quanto ricavi la difesa dalla vendita dei suoi armamenti usati. 
Il Cile riceverà 172 carri armati, per i quali pagherà alle forze armate tedesche 46 milioni di euro. La Turchia ha ricevuto 354 carri armati, equipaggiati con una tecnologia da combattimento nuova per un valore di 289 milioni di euro. Angela Merkel sa che le esportazioni di armi non sono popolari. Agli elettori non piace che regimi autoritari come quello saudita usino le armi della Germania per restare al potere. 
La spiegazione ufficiale – la vendita di armi serve a salvare posti di lavoro – non ha presa sull’opinione pubblica. Eppure la cancelliera va dritta per la suam strada. Ha esposto per la prima volta il suom progetto a settembre. Due mesi dopo l’ha presentato a una conferenza per alti funzionari della difesa a Stausberg, vicino Berlino. 
Merkel ha dichiarato che l’Unione europea e la Nato dipendono da altri paesi, soprattutto quelli emergenti, che in futuro dovranno assumersi più responsabilità. “Credo che sia nostro interesse mettere i nostri collaboratori nelle condizioni di partecipare in modo efficace al mantenimento o alla riaffermazione della sicurezza e della pace nelle loro regioni”.
I funzionari della difesa e gli esperti di sicurezza presenti sapevano di cosa stava parlando: il governo deve fornire armi alle regioni a rischio di conflitto, come il Medio Oriente e il sudest asiatico, che le useranno per assicurare pace e stabilità. Dal punto di vista della cancelleria, questa dottrina risolverebbe due problemi. Da un lato giustificherebbe l’esportazione di armi nella penisola araba, a lungo ritenuta a rischio; dall’altro, fornirebbe al governo un’ulteriore giustificazione per la sua riluttanza a lasciarsi coinvolgere nei conflitti all’estero. 
Merkel non vuole assumersi la responsabilità di altre missioni militari. Ai suoi occhi l’Afghanistan è la dimostrazione del fallimento a cui vanno incontro gli interventi nei paesi stranieri. È più efficace e meno pericoloso dare sostegno militare a

strategico è l’Algeria. Il paese confina con il Mali e la Libia, e dovrebbe fare da testa di ponte nella lotta contro i terroristi islamici. I servizi algerini si sono iniltrati nell’organizzazione di Al Qaeda nel Maghreb islamico (Aqmi) e anche gli Stati Uniti vorrebbero usare l’ex colonia francese come base per le loro azioni di controterrorismo. Non è un caso se l’Algeria è diventata un beneficiario sempre più importante delle esportazioni tedesche, collocandosi all’ottavo posto nel 2011. 
Due grosse aziende hanno avuto un ruolo di primo piano nel potenziamento degli armamenti algerini. Il paese ha ordinato navi da guerra alla Thyssen Krupp Marine Systems, mentre la Rheinmetall, con sede a Düsseldorf, sta costruendo una nuova fabbrica per produrre veicoli Fuchs.
L’Algeria ha da poco lanciato un’altra grossa esca sul mercato internazionale: un contratto da 1,5 miliardi di dollari per un moderno sistema di controllo dei confini destinato alla frontiera con il Mali, martoriato dalla guerra civile.
Con ogni probabilità il progetto susciterà l’interesse della compagnia di difesa europea Eads, che sta realizzando un sistema simile in Arabia Saudita. Il governo tedesco partecipa fornendo addestratori per le guardie di confine saudite.
Ma un partner strategico può diventare in poco tempo imprevedibile, come dimostra l’Egitto. Nel 2011 il Cairo ha sottoposto a Berlino una richiesta ufficiale per l’acquisto di due sottomarini dalla Hdw di Kiel. Gli egiziani non erano interessati ai sottomarini nucleari classe Dolphin che la Germania fornisce a Israele, ma a due unità di classe 209, meno sofisticata dal punto di vista tecnico. 
All’inizio l’accordo sembrava redditizio e facile. I funzionari del ministero della difesa tedesco avevano informato il ministro della difesa israeliano, e la cancelliera aveva chiamato il premier israeliano. Non c’erano state obiezioni. Ma da allora la situazione è cambiata. Il nuovo presidente egiziano, Mohammed Morsi, viene dai Fratelli musulmani e ha legami con Hamas. Il suo partito ha redatto una bozza di costituzione che, come quella in vigore all’epoca di Hosni Mubarak, pone la sharia alla base di qualsiasi altra legge. 
Tel Aviv non considera più gli egiziani degli alleati affidabili e l’affare dei sottomarini è diventato un problema.
Netanyahu ha chiesto di cancellare l’accordo. Irritata dall’improvviso voltafaccia israeliano,
la cancelleria ha dato la sua disponibilità a rivedere la decisione. Durante il
 ertice del 26 novembre, Westerwelle ha dichiarato che Berlino non dovrebbe far dipendere la sua posizione da Israele. Non importa quale sarà la decisione della Germania: allontanerà comunque un importante socio nella regione, sia Israele o l’Egitto.
La fornitura di armi tedesche agli Emirati Arabi Uniti è stata meno complicata. Berlino sostiene che il paese deve rafforzarsi militarmente contro l’Iran. Con un simile sostegno politico, non c’è da stupirsi che gli Eau siano diventati uno dei clienti preferiti dell’industria bellica della Germania. 
La Rheinmetall ha in programma di costruire entro il 2014 un moderno centro di addestramento per combattimenti con sistemi informatici e laser negli Emirati Arabi Uniti
he dovrebbe generare introiti per più di cento milioni di dollari. Appena il centro entrerà in funzione, le forze armate del paese avranno un livello di competenza nelle tecniche di combattimento con sistemi informatici e laser paragonabile a quello della bundeswehr. Berlino esita a promuovere attivamente la sua nuova linea politica. La cancelliera e i suoi consiglieri sono convinti che sarebbe meglio spiegare le linee generali della nuova dottrina sulla sicurezza e anche il ministro della difesa, Thomas de Maizière, è a favore di un approccio più coraggioso. Ma né Angela Merkel né il suo ministro della difesa sono scesi nei dettagli. Entrambi insistono nel dire che la maggior parte delle decisioni prese nel consiglio di sicurezza federale è segreta. Il governo non commenterà l’invio dei carri armati in Arabia Saudita.

Se dipendesse dal ministro degli esteri Westerwelle, il governo dovrebbe limitarsi a dire delle banalità sull’argomento. Lui fa il possibile per rafforzare la sua immagine di
sostenitore del disarmo. Dopo la rielezione di Barack Obama, ha dichiarato: “Spero che faremo passi avanti sulla via del disarmo e della non proliferazione nucleare”. Ma quando l’opinione pubblica si distrae, promuove l’industria bellica tedesca. 
L’invio di armi in Arabia Saudita è un grosso problema per Merkel, perché nessun diplomatico occidentale sa di preciso quanto
sia stabile la situazione nel paese. Il governo, che secondo gli standard occidentali è fondamentalista, è minacciato da forze ancora più estremiste. Se la situazione degenerasse, i carri armati e le altre armi tedesche rischierebbero di finire nelle mani di un movimento radicalmente antioccidentale.
C’è già un precedente nella regione. Per decenni il regime iraniano filoccidentale dello scià Mohammad Reza Pahlavi fu sostenuto dagli Stati Uniti. Nel 1979, quando la rivoluzione iraniana cacciò lo scià, le armi americane finirono nelle mani degli ayatollah, che oggi considerano Washington il loro peggiore nemico.



Fonte: Internazionale N°979, 14/20 dicembre 2012.






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