venerdì 7 dicembre 2012

Israele-Palestina: è ora di dare spazio alla diplomazia (Ha’aretz)




Il popolo palestinese vuole liberarsi dall’occupazione. Cose che capitano.
Ma come riuscirci? All’inizio ha provato a non fare nulla. Per vent’anni i palestinesi sono rimasti immobili, ma
non è servito a niente. Poi hanno provato con le pietre e i coltelli della prima intifada. Ma non hanno ottenuto nulla, a parte gli accordi di Oslo, che non hanno modificato la natura dell’occupazione.
Ci hanno riprovato con la seconda intifada, ma ancora nulla. 
Ci hanno provato con la diplomazia. Niente.
Oggi il popolo palestinese è diviso: con una mano lancia razzi Qassam e con l’altra chiede aiuto alle Nazioni
Unite. Israele le schiaccia entrambe. I palestinesi ci provano anche con la resistenza non violenta, ma in cambio ricevono colpi in faccia. E naturalmente non cambia niente. Israele continua a dire di no. Ma cosa vogliono davvero gli israeliani? Niente. Vogliono la calma. Vogliono che l’occupazione vada
avanti indisturbata. Quasi tutti i politici israeliani sono convinti che non ci sia soluzione al problema, e che in ogni caso non dobbiamo preoccuparci. I palestinesi non esistono. Il problema non esiste. Abbiamo lasciato la Striscia di Gaza, la Cisgiordania è tranquilla, sosteniamo la soluzione dei due stati. Cosa
vuole Israele dai palestinesi? Che stiano tranquilli. 
Ma i palestinesi vogliono liberarsi dall’occupazione. Cose che capitano.
Israele si presenta a questa nuova fase del conflitto negando più che mai l’esistenza del popolo palestinese. Il
governo sta provando a seppellire le teste dei cittadini israeliani sotto la sabbia e a convincerli che il problema non esiste.
Fino a quando non gli scoppierà un Qassam in faccia.
Ma allora, cosa dovrebbe fare Israele? Evitare l’uso della forza? Fare un passo indietro quando la vita degli israeliani del sud è diventata un inferno?
La verità è che non ha senso chiedersi queste cose ora. Bisognava pensarci prima. 
Oggi Israele è costretta a scegliere la solita via: omicidi mirati, attacchi violentissimi.
No alle bombe È vero, siamo un po’ cresciuti dall’operazione Piombo fuso. L’esercito israeliano non ha ucciso 250 agenti della polizia palestinese in un solo giorno, e l’operazione relativamente chirurgica in corso impallidisce, almeno per ora, di fronte ai crimini di quella precedente. Anche la retorica è un po’ meno vergognosa.
I politici e i generali si sfidano di nuovo in tv e alla radio a chi appare più assetato di sangue, ma lo fanno con meno ferocia. L’esercito ha adottato un nuovo termine per descrivere cosa intende fare ai vertici militari di Hamas: “decapitazione”. Di nuovo studiosi e intellettuali chiedono di tagliare acqua, viveri ed elettricità alla Striscia di Gaza.
Ma anche queste chiacchiere disumane sono meno scioviniste rispetto al passato. Chissà, forse stiamo cominciando a capire che bisogna fare qualcosa “una volta per tutte”, come dicono gli israeliani. Ma dobbiamo anche capire che la soluzione non passa per l’uso delle armi. Possiamo provare a dialogare con Hamas, accettare l’iniziativa di pace dei sauditi, perfino ripartire dal piano Olmert. Qualsiasi cosa, ma non la guerra. È ora di dare spazio alla diplomazia e di mettere fine all’occupazione. Il tempo delle bombe è finito.

(Gideon Levy è columnist del quotidiano israeliano Ha’aretz)


Fonte: Fonte: Internazionale N°976, 23/29 novembre 2012

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