mercoledì 11 luglio 2012

Thailandia: l'infanzia negata dei bambini boxeur (Giornalettismo)


Dimenticate la comoda panchina di un campo di calcetto, la serena tribuna di un palazzetto dello sport, i confortevoli spogliatoi di una piscina. In Thailandia genitori e figli per inseguire il sogno di un futuro glorioso nel mondo dello sport frequentano i ring dove i bambini vengono allenati alle botte, al sangue e alle lacrime.
E’ la muay thai, nota anche con il nome di boxe thailadese, la disciplina nazionale nella quale tutti i giovanissimi sognano di affermarsi per diventare ricchi e famosi. Lo spettacolo della sfida è inquietante. Piccoli atleti si sfidano a colpi di pugni a calci fino all’ultima goccia di energia davanti agli occhi appassionati di centinaia di spettatori schierati con l’uno o l’altro combattente. Proprio come il calcio nostrano, i match sono frequenti. I campionati disputati in tutto il paese fanno emergere le nuove promesse della lotta, nascono celebrità, e i successi invitano a nuovi, più agguerriti, incontri.
In molti casi sono proprio i genitori, soprattutto nelle zone rurali, a spingere i loro bambini alla muay thai. Dal nord-est del paese i giovanissimi si spostano verso Bangkok ed altri grandi campo di addestramento nella speranza di poter diventare un giorno fonte di guadagno per i propri familiari. La disciplina si è diffusa nei secoli scorsi come metodo per difendersi senza ricorrere alle armi.  E’ chiamata anche la scienza degli otto arti, perchè sono otto i punti di contatto con l’avversario consentiti: mani, gomiti, ginocchia, piedi.

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