venerdì 16 novembre 2012

Donne: la maggioranza non silenziosa (The Nation)




Il 6 novembre, al voto per le presidenziali, le donne statunitensi hanno
mandato un messaggio politico inequivocabile. Il divario di genere (tra uomini e donne che hanno votato) ha raggiunto il 18 per cento, nettamente superiore al 12 per cento del 2008. Le donne sono state
la maggioranza dell’elettorato, e il 23 per cento dei voti è arrivato da donne non sposate.
La forte crescita dell’attivismo femminista ha avuto un effetto concreto sulle elezioni, ma per la netta vittoria dei democratici è stato determinante anche, se non soprattutto, il silenzio delle donne. Anche se
durante la campagna elettorale i mezzi d’informazione e i movimenti femministi si sono concentrati sulla “guerra alle donne”, le statunitensi sono ancora restie a parlare del loro rapporto con l’aborto e la violenza
sessuale.
Le femministe si battono da anni per cancellare il marchio d’infamia che circonda lo stupro e l’interruzione di gravidanza, invitando le donne a raccontare le loro storie.
Negli Stati Uniti un terzo delle donne ricorre all’aborto almeno una volta nella vita, mentre nel 2010 più di 600mila donne adulte sono state stuprate. Eppure, la maggior parte di loro sceglie di non parlare di queste esperienze. Probabilmente il silenzio non è la strategia più efficace per migliorare la condizione delle donne, ma potrebbe aver piantato l’ultimo chiodo sulla bara dei repubblicani.
Parte dell’arretratezza culturale dei re pubblicani sui problemi del mondo femminile deriva dalla loro tendenza al dogmatismo acritico. Quando sostengono che difficilmente le donne restano incinte dopo uno
stupro, lo dicono perché ci credono davvero.
Quando etichettano l’aborto come un rifugio peccaminoso per le donne promiscue, è perché sono realmente convinti che le donne “giuste” non interrompono la gravidanza. Arrivano perino a mettere in dubbio
le statistiche sugli stupri pur di sostenere che le donne rispettose delle regole non subiscono violenze sessuali. Secondo loro la molestia è un triste ma inevitabile destino per le donne che si vestono in un certo modo, bevono, hanno rapporti sessuali con chi vogliono o fanno qualsiasi cosa si allontani dagli ideali tradizionali della femminilità.
Nel Partito repubblicano ci sono troppe persone incapaci di immaginare che questi problemi riguardano anche le donne delle loro comunità e delle loro famiglie. Continuando a non parlare apertamente delle loro esperienze, le donne alimentano questa ignoranza. È per questo che Mitt Romney può dire tranquillamente che alle elettrici non interessa la “guerra alle donne”. Non c’è dubbio che i repubblicani abbiano
sottovalutato l’importanza di questi argomenti, spinti dal sessismo e dalla misoginia, ma è altrettanto vero che il silenzio delle donne asseconda la loro illusione.
I risultati delle elezioni, però, raccontano una verità innegabile: le donne a cui non piace parlare di queste cose non hanno avuto paura di esprimere la loro opinione al momento del voto. Ma è sbagliato mantenere
il silenzio sull’aborto e la violenza sessuale. È una tendenza generalizzata che dobbiamo invertire, se vogliamo un cambiamento reale e un progresso del femminismo.
Qualunque sia il modo scelto dalle donne per farsi sentire – con l’attivismo o solo con il voto – non si può negare che oggi questi problemi siano fondamentali. Il difficile sarà farsi sentire anche dopo le elezioni.


(Jessica Valenti, The Nation, Stati Uniti)

Fonte: Internazionale N°975, 16/22 novembre 2012

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