giovedì 6 settembre 2012

Le ombre del nuovo Egitto (Ala Al Aswani)

Dopo sessant'anni di dittatura il popolo ha un nuovo presidente civile regolarmente eletto: Mohamed Morsi, che è riuscito a mettere fine al controllo dei militari destituendo il capo dell’esercito Hussein Tantawi e
revocando la Dichiarazione costituzionale. 
Adesso Morsi ha il potere e l’autorità necessaria per cominciare a costruire uno stato democratico.

Molti egiziani si sono chiesti se essere contenti che la dittatura militare sia finalmente caduta o
preoccupati del fatto che i Fratelli musulmani hanno preso il controllo dello stato.
I loro timori sono legittimi, per diversi motivi.

Primo: le preoccupazioni suscitate dai Fratelli musulmani a causa dell’ambiguità della loro organizzazione e delle loro fonti di finanziamento ricadono anche su Morsi. I Fratelli musulmani non sono un gruppo legalmente riconosciuto e le loro enormi risorse economiche non sono sottoposte ad alcuna forma di controllo. 
Il presidente dovrebbe convincere i leader dell’organizzazione a rendere pubblico il suo bilancio.
Secondo: Morsi si è riservato il diritto di formare una nuova commissione costituente se quella attuale dovesse
fallire. Questo è antidemocratico e inaccettabile. La costituente deve riflettere la volontà del popolo, non
i desideri del presidente, e dovrebbe essere scelta con libere elezioni.
Terzo: i ministeri dell’informazione sono strumenti di oppressione e manipolazione che esistono solo nei
regimi totalitari. I rivoluzionari chiedevano lo scioglimento del ministero dell’informazione di Mubarak.
Invece il presidente lo ha mantenuto e ha messo alla sua guida un esponente di spicco dei Fratelli musulmani,
che ha esordito decretando la chiusura del canale privato Al Fareen. È vero che questo network ha difamato
molti personaggi associati alla rivoluzione. In democrazia però le reti televisive non vengono chiuse con un provvedimento arbitrario, ma con la sentenza di un giudice. Se accettiamo la chiusura di Al Fareen, in
futuro qualsiasi canale dissidente rischia di scomparire.
Quarto: in tutti i sistemi democratici, i mezzi d’informazione criticano il capo dello stato, ma la legge non
li punisce. Ci sono leggi che difendono i cittadini dalla diffamazione, ma consentono di criticare duramente i ministri e i capi di stato. Questo perché si ritiene che chi critica il potere lo faccia nel pubblico interesse. Come
disse il presidente statunitense Theodore Roosevelt, “quelli che lavorano in cucina non possono lamentarsi
di quanto scotta il forno”. Invece il governo ha messo sotto processo il direttore del quotidiano Al Dustour
per aver insultato il presidente e “incitato alla lotta settaria”.
Quinto: la maggior parte dei quotidiani di stato egiziani sono corrotti. Per legge sono di proprietà del Consiglio
della shura, che un tempo ne nominava i direttori con l’avallo dei servizi segreti. Molti giornalisti sono abituati a collaborare con le autorità per assicurarsi una promozione.
Dopo la rivoluzione molti hanno chiesto che i giornali diventassero totalmente indipendenti. Ma il governo ha mantenuto il controllo del Consiglio – ora in mano ai Fratelli musulmani – e ha indetto un concorso per selezionare i nuovi direttori. Anche se alcuni di loro sono effettivamente qualificati, sono stati nominati con il consenso dell’organizzazione, e potrebbero perdere il loro incarico se la criticassero. Invece di favorire la nascita di una stampa indipendente, i Fratelli musulmani hanno solo abolito il controllo dei servizi di sicurezza su queste istituzioni, sostituendolo con il proprio.

Alla luce di questi fatti c’è da chiedersi: il presidente vuole davvero smantellare la dittatura e restituire il potere
al popolo egiziano? Oppure sta solo modificando quel meccanismo per il suo interesse personale, togliendo
il controllo ai militari per darlo alla sua organizzazione? Se il suo progetto è estendere l’influenza dei
Fratelli a tutti i settori dello stato egiziano, è destinato a fallire: il popolo che ha sfidato il regime di Mubarak, che ne ha determinato la caduta e lo ha messo sotto processo, non permetterà mai che l’Egitto diventi lo stato dei Fratelli musulmani. Se il presidente vuole fondare una vera democrazia deve affermare con i fatti di essere il presidente di tutti gli egiziani. Deve rilasciare tutti i rivoluzionari che sono ancora in prigione, e non solo gli
islamisti. Per dimostrare che rispetta l’uguaglianza tra i cittadini, deve affidare ai copti incarichi importanti e
modificare la composizione della costituente per fare in modo che rappresenti tutti i settori della società e non sia dominata dagli islamisti.


(Ala Al Aswani è uno scrittore egiziano).
Fonte: Internazionale, N° 964, 31 agosto/6 settembre 2012






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